Dall’Egitto alla Russia: la fluidità inafferrabile dei rapporti strategici

relazione egitto-usa

Dall’Egitto alla Russia: la fluidità inafferrabile dei rapporti strategici. Un incrociatore lancia-missili russo nel delta del Nilo.

Non si può fare finta di niente quando ad attraversare le acque del Canale di Suez è una nave da guerra di nome Varyag, che al suo attracco al porto di Alessandria è accolta dalla rituale solennità delle forze armate egiziane. Che si tratti di una messa a punto può essere, ma l’altra verità è che i Generali dicono basta al braccio di ferro con la Russia, durato oltre trent’anni.

L’immagine della Varyag è stata la scenografia dello storico summit che per due giorni consecutivi ha coinvolto gli esponenti del governo provvisorio egiziano e i Ministri della Federazione Russa Lavrov e Shoigu, giunti al Cairo per definire il nuovo assetto strategico militare. Ragionare in cifre aiuterà a comprendere la portata delle trattative: quasi due miliardi di dollari saranno investiti dalla Repubblica Araba d’Egitto in elicotteri ed equipaggiamenti per la difesa aerea a corto raggio, forniti direttamente da Mosca.

Gli accordi prendono forma nel clima di tensione che travolge l’asse Il Cairo-Washington, avendo quest’ultima bloccato già  da un mese e mezzo il 25% dei finanziamenti destinati al Paese arabo. Rapporti incrinati e ingranaggi inceppati dall’incomprensione  spingono dunque l’intera regione mediorientale verso l’imprevedibile.

Ma anche in quest’ottica sarebbe fuorviante ritenere che Il Cairo abbia improvvisamente spezzato un sodalizio di vecchia data, per affidarsi con disinvoltura alla rinascita diplomatica di Mosca. Piuttosto, l’Egitto dei Generali desidera riconquistare stabilità interna e credibilità sul piano internazionale, e in un panorama di cooperazione multilaterale non è da escludere che agli aiuti degli Stati Uniti si sommino le forniture militari provenienti dalla Russia.

Semmai potrebbe dubitarsi dell’autentica convergenza di opinioni, specialmente in materia di politica estera, sfoggiata sia dal governo egiziano che dal Cremlino … Ma questa è un’altra storia.

 

Sul filo del cambiamento

Nelle ore convulse che hanno accompagnato lo svolgimento del summit, il Generale Al-Sisi si è mostrato certo che la visita dei Ministri russi segni il risveglio di antiche relazioni strategiche, in passato interrotte, da orientare nuovamente lungo i binari di una costruttiva cooperazione militare.

Tra le esplicite smentite del Ministro degli Esteri egiziano, un ventaglio di critiche investe il presunto cambio di direzione della politica americana e le agenzie di stampa continuano a battere la notizia di un’insanabile frattura dei rapporti amichevoli tra Egitto e Stati Uniti.

È indubbio il rilievo geopolitico  che il Paese riveste nel panorama del Nord-Africa e in tutta l’area mediorientale; un nodo di traffici strategici ed economici che fino ad oggi ha attirato impulsi imperialisti esterni, variamente mascherati dall’imperativo morale che impone di far rivivere ordine e democrazia.

Ma quali che siano gli interessi sottesi agli accordi bilaterali o multilaterali, certo è che gli Stati Uniti accettano la parziale estromissione con la ponderatezza del Segretario di Stato Kerry. D’altra parte, l’entusiasmo altalenante della Russia si assesta su un impegno condizionato dalle esperienze passate, quando – sotto la presidenza di Al-Sadat – gli anni Settanta marcavano un profondo deterioramento dell’alleanza militare con i sovietici.

Vero è che il ritorno in scena della Federazione sulla ribalta mediorientale non può ritenersi sganciato dalla volontà del Cairo di conquistare un maggiore spazio di manovra fino a recuperare il tradizionale ruolo chiave nella regione.

Peraltro, i maldestri tentativi di Bruxelles di interagire concretamente con i vari Paesi della sponda Sud del Mediterraneo hanno contribuito a semplificare il gioco, lasciando intendere che si tratta di una partita a due. Ovvio, però, che a disegnare il quadro dei nuovi rapporti di forza oggi è soprattutto la mano di Mosca. Anche perché non potrebbe essere altrimenti, dopo il congelamento degli aiuti militari da parte degli Stati Uniti. Ma si sa che, nell’orizzonte politico di Obama, la transizione dell’Egitto post-Morsi non brilla più della stessa luce.

 

Le ultime mosse sullo scacchiere

Il doppio filo che collega la Russia alla Siria di Assad e all’Iran di Rohani è stato un’ancora di salvezza in un momento in cui il Cremlino sentiva di non poter avanzare pretese militari nella regione. A volte però l’ancora diventa un ingombro, almeno quanto lo sono le previsioni di lungo termine, puntualmente inadeguate in un contesto abituato a sciogliere e ricomporre vecchie e nuove alleanze.

Così, mentre l’ombra dell’incertezza avvolge il futuro politico del Presidente siriano, le recenti prospettive di cooperazione della Russia con la Libia, l’Iraq ed ultimamente l’Egitto mostrano che le rotte cambiano in fretta. Nuovi approdi rassicurano il governo di Mosca, convinto di svolgere una chiara missione politica in un angolo del mondo in cui la primavera è sfiorita frettolosamente, senza lasciare boccioli.

Mediante un amalgama di strategia e diplomazia, la Russia intende sfruttare il porto militare di Alessandria per porre le basi della propria flotta nel Mediterraneo. Ma c’è di più. Un’intesa con l’Egitto consentirebbe al Presidente Putin di avviare un dialogo con le monarchie sunnite della penisola araba.

Tuttavia, un interrogativo pende sulle reali capacità di Mosca di presentarsi come principale alleato del Cairo. Anche l’Egitto riconosce che le risorse di cui essa dispone non possono eguagliare quelle americane, ma poco importa se – come sostiene il governo egiziano – davvero non c’è motivo di sostituire un alleato con un altro.

Del resto, anche in un concerto di ipotesi e dichiarazioni enigmatiche, non sarebbe del tutto illogico supporre una pacifica coesistenza degli interessi egiziani e delle aspirazioni straniere. O meglio, il discorso può forse valere per la Russia, dove – crollate le pareti dell’ideologia – il dialogo internazionale riparte dalla strategia militare. Ma non altrettanto potrebbe essere per gli Stati Uniti, il cui raggio d’azione – per scelta o per necessità – appare sempre più limitato.