Unione Europea, accordo sul quadro finanziario pluriennale 2021-2027 ma Ungheria e Polonia minacciano il veto

Il Parlamento Europeo e la Presidenza tedesca al Consiglio dell’Unione Europea hanno concluso il 10 novembre un accordo politico sul quadro finanziario pluriennale 2021-2027. Diverse le novità introdotte, tra cui lo stanziamento di €15 miliardi che serviranno a rafforzare i programmi faro e a prendere le misure necessarie al fine di proteggere i cittadini dalla pandemia. Una nuova tabella di marcia per introdurre nuove risorse proprie nei prossimi sette anni e l’introduzione di un meccanismo di condizionalità per vincolare le risorse del bilancio (compreso il Next Generation EU) al rispetto dello stato di diritto. Su questo ultimo punto le due istituzioni avevano raggiunto un accordo preliminare il 5 novembre, scatenando le reazioni di Ungheria e Polonia, con la minaccia di Viktor Orbán di porre il proprio veto sul bilancio pluriennale e sul Recovery fund.

 

L’accordo del 10 novembre

Il 10 novembre la Presidenza tedesca del Consiglio dell’UE ha raggiunto un accordo politico con i negoziatori del Parlamento europeo attraverso dei colloqui volti a garantire l’approvazione (del Parlamento, ndr) al prossimo quadro finanziario pluriennale 2021-2027, ovvero il bilancio a lungo termine dell’UE.

L’accordo è stato raggiunto a seguito di intense consultazioni con il Parlamento e la Commissione. Si completa così il pacchetto finanziario globale di €1824,3 miliardi negoziato dai leader dell’UE a luglio, che combina il prossimo quadro finanziario pluriennale – 1074,3 miliardi di euro – e uno strumento di recupero temporaneo da €750 miliardi, il Next Generation EU.

L’accordo raggiunto comprende:

L’accordo sarà ora sottoposto agli Stati membri per l’approvazione insieme agli altri elementi del prossimo quadro finanziario pluriennale e del Recovery fund, compreso il regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione, su cui la presidenza del Consiglio e i negoziatori del Parlamento avevano raggiunto un accordo preliminare il 5 novembre.

 

L’accordo preliminare del 5 novembre

Dopo anni di dibattiti la Presidenza del Consiglio dell’UE e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo preliminare che consentirebbe all’UE di tagliare i finanziamenti agli Stati membri nel caso in cui non rispettino lo stato di diritto, ovvero la possibilità di impedire l’accesso alle risorse dei fondi europei agli Stati membri che non rispettano i valori sanciti dall’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea (TUE). Permangono, tuttavia, dubbi su un’eventuale concreta efficacia di tale meccanismo.

Politicamente l’accordo è strettamente collegato al bilancio a lungo termine dell’UE per il periodo 2021-2027, ma non solo: il meccanismo di condizionalità potrà essere applicato anche ai €750 miliardi del Next Generation EU.

Secondo il Parlamento Europeo si tratta di un accordo storico che arriva dopo anni di duri dibattiti in merito. Il Presidente del Parlamento, David Sassoli, ha detto che “le decisioni sono state prese per i nostri cittadini, questo è un buon accordo per i cittadini europei”. Non ha risparmiato un importante monito al Consiglio (e ai governi degli Stati membri), sottolineando come il Parlamento abbia fatto la propria parte  nel raggiungimento di un accordo e che se il meccanismo (di approvazione e ratifica) adesso si incepperà, sarà per mancanza di volontà degli Stati membri. “Ci auguriamo”, ha continuato Sassoli, “che la Presidenza tedesca abbia parlato a nome del Consiglio”, quindi anche di Polonia e Ungheria che hanno espresso la loro contrarietà al meccanismo di condizionalità.
Grande soddisfazione è stata espressa anche dai due co-relatori dell’accordo per conto del Parlamento, il finlandese Petri Sarvamaa (EPP) e la spagnola Eider Gardiazabal Rubial (S&D), che hanno definito l’accordo una pietra miliare per la protezione dei valori europei. ”Per noi era fondamentale che i beneficiari finali non venissero puniti per gli illeciti dei loro governi e che continuassero a ricevere i fondi che erano stati loro promessi e sui quali fare affidamento, anche dopo che il meccanismo di condizionalità è stato attivato. Possiamo dire con orgoglio che abbiamo raggiunto un sistema forte che garantirà la loro protezione”, ha voluto specificare la Rubial.
Si è detto soddisfatto per i risultati ottenuti anche il co-relatore olandese Johan Van Overtveldt, appartenente al gruppo di opposizione dei Conservatori e Riformisti europei.
I parlamentari europei di Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica hanno espresso un generale apprezzamento per il meccanismo di condizionalità, ma hanno definito l’accordo generale con il Consiglio molto al di sotto delle aspettative dei cittadini europei.
Il capogruppo di Identità e Democrazia, Marco Zanni, invece frena gli entusiasmi per l’esito raggiunto, considerato del tutto discutibile, e accusa il Parlamento “che, impuntandosi su richieste utopiche, ha solo contribuito a ritardare ulteriormente il processo, ottenendo ben poco rispetto alle sue richieste iniziali”.

Il Ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, ha definito l’accordo del 5 novembre con il Parlamento un passo avanti importante e decisivo per il rafforzamento dei valori europei, uno degli obiettivi chiave della Presidenza tedesca del Consiglio dell’UE.
Soddisfatta anche la Commissione europea, che chiedeva l’introduzione di un meccanismo rafforzato di tutela dello stato di diritto dal 2018.

 

Le reazioni di Ungheria e Polonia

Non si sono fatte attendere le repliche di Ungheria e Polonia all’accordo raggiunto il 5 novembre. In particolare, il Ministro degli Esteri magiaro Judit Varga ha definito l’accordo “uno strumento di ricatto ideologico”. Mentre, secondo quanto riportato dal sito ungherese mandiner.hu, il premier Viktor Orbán avrebbe scritto una lettera indirizzata ai leader delle presidenze del Consiglio dell’UE attuale e del 2021 (Germania, Portogallo e Slovenia), al Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e alla Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen,  in cui il Primo Ministro ha minacciato l’utilizzo del veto sul bilancio pluriennale se non sarà ritirata la proposta sul meccanismo di condizionalità. Secondo Orbán la locuzione “violazione dello stato di diritto” è troppo vaga e si presta a facili abusi; inoltre egli ritiene che per quanto lo stato di diritto sia una bene comune europeo la sua applicazione può essere giudicata soltanto dal popolo ungherese.
A Budapest ha fatto eco Varsavia: il primo ministro Morawiecki ha commentato che non accetterà che lo stato di diritto sia interpretato secondo la visione dell’Unione Europea, “ognuno ha un’opinione diversa su come opera la Polonia e sull’indipendenza delle sue istituzioni”. Per questo motivo anche Varsavia si dice contraria al meccanismo di condizionalità sull’erogazione dei fondi, paventando la possibilità di porre il veto in segno di protesta.

 

Come si vota?

L’accordo preliminare siglato il 5 novembre dovrebbe essere adottato da Parlamento e Consiglio come regolamento, perciò per la sua approvazione in seno al Consiglio si renderebbe necessaria una maggioranza qualificata (almeno 15 Stati su 27 che rappresentano almeno il 65% della popolazione europea). Anche per l’attivazione del meccanismo di condizionalità vale la stessa regola di voto. Secondo il progetto, prima la Commissione europea rileva una violazione in atto o un rischio di violazione dello stato di diritto da parte di uno Stato membro, a quel punto il Consiglio decide a maggioranza qualificata (escluso lo Stato sotto accusa) se sospendere i fondi o meno. In entrambi i casi, perciò, non è possibile esercitare il diritto di veto.
Il veto è invece esercitabile da parte degli Stati membri nel caso dell’approvazione dei €1800 miliardi del quadro finanziario pluriennale 2021-2027, comprendente anche il Recovery fund, per il quale occorre l’unanimità del Consiglio. In questo caso le minacce dei due Paesi Visegrad sembrano credibili ed entrambi sembrano intenzionati a non cedere e portare fino in fondo le loro minacce, nel caso fosse necessario. Tuttavia, si evidenzia il fatto che sia Budapest che Varsavia sono due beneficiari netti dei fondi europei e i loro bilanci si fondano in larga parte sui contributi di Bruxelles. In tutto ciò, restano per il momento silenti gli altri due Paesi Visegrad, Repubblica Ceca e Slovacchia.