Scarpellini: la verità sui miei palazzi affittati alla Camera

Scarpellini: la verità sui miei palazzi affittati alla Camera

La questione riguardante il salatissimo contratto di locazione di Palazzo Marini (444.000.000 di euro spesi in diciotto anni di utilizzo dei quattro edifici dello storico stabile) ha messo in luce colui che è il locatario dell’immobile di cui la Camera dei Deputati fa uso: Sergio Scarpellini.

Definito da più parti come un vero e proprio lobbista, le sue stesse parole hanno lasciato intendere non potesse fare altro nella vita: “durante la campagna elettorale vengono qui bianchi, rossi e verdi e noi un contributo lo diamo sempre. A tutti. Gli imprenditori romani fanno così”. Intervistato da Il Fatto Quotidiano, lima la cifra mastodontica al ribasso: 369 milioni di euro. Lancia poi una frecciatina alle male oculate spese di Montecitorio: “se volevano con questo denaro un paio di palazzi li potevano acquistare”. Continua “avevano un diritto di opzione  – ovvero un diritto nel quale una parte (Scarpellini, il concedente) si impegna a tenere ferma una proposta, mentre l’altra parte (Montecitorio, l’opzionario) ha il potere di accettare o meno anche se il concedente ha modificato opinione – perché non l’hanno sfruttata? Se mi chiamano, vendo di corsa. Anzi, ci metto pure un fiocco su, però si devono prendere il personale (circa cinquecento dipendenti che altrimenti sarebbero licenziati, ndr). Per me questa storia è diventata una rogna. E la Camera ci risparmia .

E quando il giornalista del quotidiano diretto da Antonio Padellaro chiede cosa farebbe a posto della locazione alla Camera, Scarpellini non ha dubbi: “hotel di lusso”. Ma gli uffici di Montecitorio dove si sposterebbero? Da nessuna parte fa intendere il lobbysta: “i palazzi vicini erano i miei, potevano venire soltanto da me”.

Conclude volendo “far sapere” i veri conti di quei palazzi: “dai soldi guadagnati affittando palazzi alla Camera dal ’97 occorre levare l’Iva” e poi “togliere il 50% di tasse. E poi ci sono gli interessi bancari”.

 

Daniele Errera