L’Occidente e la minaccia dello Stato Islamico

Lo Stato Islamico “non è semplicemente un gruppo terroristico”. Le parole sono di Chuck Hagel, segretario alla Difesa americano: “Dobbiamo essere preparati a tutto, l’Is è al di là di tutto quello che vediamo”.

La conquista dell’Iraq del Nord, il controllo di un’ampia porzione di territorio in Medio Oriente, una strategia comunicativa raffinata, finanziamenti, mezze e tattiche militari, e poi rapimenti, decapitazioni, reclutamenti in giro per il mondo: l’Occidente apre improvvisamente gli occhi sull’Is e i vertici statunitensi non escludono alcuna strada da qui in avanti. “L’azione militare americana non è ancora finita, anzi gli Stati Uniti metteranno in campo una strategia sul lungo termine, visto che Is rappresenta una minaccia sul lungo termine”, ha detto ieri Hagel.

Secondo il Pentagono sarebbero 17mila i miliziani dello Stato Islamico attivi in Iraq: non solo siriani ma anche sunniti iracheni ed ex sostenitori del partito Baath. Il segretario alla Difesa americano ha aggiunto che c’è da aspettarsi che i miliziani dell’Is si riorganizzeranno e tenteranno nuovi attacchi.

Anche la Siria finirà probabilmente nell’agenda americana. L’Is ha sconfinato in Iraq ma le retrovie sono in Siria. Washington potrebbe colpire i miliziani anche nel territorio di Damasco. E la campagna sarà lunga: il contrario di quanto affermato settimane fa da Obama.

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Secondo alcuni, proprio Barack Obama avrebbe sottovalutato la minaccia dello Stato Islamico. Mike Morell, ex vicedirettore della Cia e oggi analista per la sicurezza nazionale di Cbs News, ha affermato che la Casa Bianca non ha ancora compreso a pieno i rischi: non basta mandare aiuti alle popolazioni irachene e non basta operare con bombardamenti mirati, per colpire l’Is va stanato il leader Abu Bakr al-Baghdadi e vanno trovati i vertici dell’organizzazione, ha spiegato Morell.

E poi c’è da arginare il reclutamento. L’uomo che ha decapitato il giornalista americano James Foley è arrivato probabilmente da Londra. Su Twitter una ragazza inglese convertita all’Islam e trasferitasi in Siria nel 2012 ha annunciato di voler diventare la prima donna a giustiziare un ostaggio occidentale.

Moltissimi europei sono volati in Siria per unirsi alla jihad contro il regime di al-Assad. Non si tratta di un dettaglio emerso nelle ultime ore:  i servizi di intelligence di tutta Europa lo sottolineano da molti mesi. Dalla Scandinavia alla Gran Bretagna, dalla Germania alla Francia, tanti occidentali hanno abbracciato l’estremismo islamico. E c’è anche l’Italia: sarebbero una quarantina i nostri connazionali partiti alla volta della Siria e dell’Iraq. Il timore, a Roma come a Berlino, a Oslo come a Londra, è che al loro ritorno possano tentare di colpire al cuore l’Occidente.

A cadere nella rete dell’estremismo sono spesso immigrati di seconda generazione: per lo più ragazzi affascinati dal mito della Guerra Santa. Ma anche estremisti radicali e avventurieri. Siria e Iraq assomigliano sempre più a una gigantesca babele. I miliziani proverrebbero da un numero di paesi compreso tra 50 e 80, secondo le intelligence occidentali: 400, forse 500 dalla Gran Bretagna, un centinaio dalla Danimarca e dagli Usa. Ma fare stime precise è complicato.

Secondo Londra una metà dei cittadini britannici volati in Iraq e Siria ha fatto ritorno a casa. Cosa faranno?

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