Fertility Day-Eppure sembra non esserci correlazione tra fertilità e reddito o sicurezza lavorativa

fertility day, correlazione nei vari anni tra fetilità e reddito

Fertility Day – Eppure si sono fatti meno figli proprio quando siamo diventati più ricchi

L’iniziativa del ministero della Salute guidato da Beatrice Lorenzin (NCD) di lanciare un Fertility Day per il prossimo 22 settembre per informare e sensibilizzare sull’importanza della salvaguardia della fertilità femminile allo scopo di aumentare la natalità in Italia che è scesa a livelli minimi, con un il primo decremento della popolazione nel 2015, non contrastato per la prima volta dall’afflusso di immigrati.

L’iniziativa ha subito critiche ferocissime sul web, tanto da costringere il ministro a chiudere il sito relativo, ma più che delle gaffes della campagna di comunicazione (“Fertilità bene comune”) vediamo qui il succo del problema, il calo della fertilità, ovvero il numero medio di figli per donna tra i 14 e i 49 anni e di conseguenza della natalità, con gli enormi problemi che l’invecchiamento della popolazione pone.

Fertility Day, nessuna o poca correlazione con la crescita del PIL

E’ la crisi ad avere peggiorato la fertilità, oggi solo a 1,35 figli per donna? Probabilmente ha contribuito, eppure non siamo al livello minimo.

Questo è stato raggiunto nel 1995 con 1,19, quando si era al termine di quasi 50 anni di crescita ininterrotta a ritmi ben superiori di quelli successivi. Da allora il tasso di fertilità si è ripreso, nonostante una crescita affannata se non una stagnazione, fino al 1,46 del 2010.

Dopo è ripresa la discesa, fino al 1,35 attuale, che rimane decisamente più alto del valore del 1995.

Dal 1995 però c’è stata l’immigrazione più forte cui l’Italia abbia mai assistito. E’ stata questa a contribuire alla ripresa che contando solo la fertilità delle italiane non ci sarebbe stata? Solo in parte.

L’ISTAT ci dice che per il 2014 la fertilità delle sole italiane era di 1,29, comunque maggiore di quella di metà anni ’90.

E in ogni caso la maggiore fertilità degli stranieri entra in contraddizione con una presunta correlazione tra crescita o reddito e maggiore propensione ad avere figli, visto il reddito medio decisamente inferiore alla media degli immigrati.

 

Una correlazione quindi con la crescita che appare non esistente o debolissima, soprattutto dopo gli anni ’70, quando effettivamente a una crescita maggiore corrispondevano più nascite.

 

Fertility Day, la correlazione con il reddito pro capite è addirittura negativa

Il dato sulla crescita  ci dice quanto aumenta il reddito rispetto all’anno precedente, in un certo senso ci parla della percezione di un miglioramento delle condizioni di vita e della situazione economica, ma è un indicatore pur sempre relativo.

Quello che conta ancora di più in realtà sono i soldi ce ci si ritrova in tasca, per esser grevi ma chiari, quindi il valore assoluto del PIL pro-capite.

E quindi si deve ripetere un clichè già ribadito, ma questa volta con un paio di semplici grafici: il tasso di fertilità è calato con l’aumento del reddito pro capite, una relazione interrottasi solo tra il 1995 e il 2010 come abbiamo visto, ma con un grado di correlazione inferiore a quello, inverso presente tra 1971 e 1995

 

 

Sono cose risapute che devono far pensare alla complessità del tema: serviranno più bonus, più euro per le giovani coppie? Probabilmente sì, ma solo in parte.

C’è un aspetto culturale da non sottovalutare, anche perchè conta anche la base su cui incide l’azione. Si possono aumentare detrazioni o sussidi per le famiglie, ma se queste diminuiscono, se si formano meno coppie, o se si formano tardi, dopo i 35 anni, l’effetto non può che esserne minato, ed è quello che sta accadendo.

Si tratta allora di problematiche relative al lavoro e all’occupazione?

Certamente c’è una correlazione tra occupazione femminile e fertilità: le donne con un lavoro più sicuro, più alto titolo di studio e maggior reddito, soprattutto dopo una certà età, hanno più figli, non a caso è stato il Sud l’area più colpita negli ultimi anni dalla denatalità.

E’ quello che accade anche nel resto d’Europa, per esempio nei Paesi del Nord dove l’occupazione femminile è molto maggiore.

Anche qui tuttavia non vi sono certezze, per esempio in Germania, dove le donne lavorano molto più che nel nostro Paese, soffre di una fertilità anche inferiore alla nostra.

Rientra il gioco il fattore culturale soprattutto se consideriamo che prima dell’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori nel 1970, quando le certezze di stabilità del posto, soprattutto per le donne (tra l’altro ancora meno occupate di ora), erano esigue, la fertilità era invece superiore.

Non è un problema che può risolvere un decreto legge, men che meno una comunicazione maldestra, ma esiste, e anzi, forse è il più decisivo dei prossimi decenni.