Benedetto Croce: La politica dell’etica e la libertà come valore assoluto

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Benedetto Croce: La politica dell’etica e la libertà come valore assoluto

Il secondo decennio del Novecento rappresenta per molti il momento della “svolta politica” di Benedetto Croce. Un momento al quale seguirà una più ampia e intensa partecipazione del filosofo ai dibattiti politici dell’epoca.

Nonostante la produzione degli scritti politici si intensifichi realmente proprio a partire dagli anni ’20 – gli stessi anni in cui Croce, tra l’altro, prese parte al governo Giolitti in qualità di Ministro dell’Istruzione – e nonostante il successivo impegno come guida dell’opposizione antifascista dei letterati italiani, il filosofo continuerà, per l’intero arco della sua vita, a dirsi distante da qualunque scopo specificamente “politico” e legherà sempre la sua attività nella sfera politica a finalità essenzialmente morali. La preminenza della morale sulla politica caratterizza sin dall’inizio il pensiero di Croce e determina con precisione il suo liberalismo.

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La teoria liberale nella filosofia di Benedetto Croce

La concezione crociana del liberalismo è stata spesso soggetta a critiche per via della sua apoliticità. Alla sua base vi è, infatti, il concetto filosofico della libertà come sorgente della storia, idea regolativa del pensiero e principale fine dell’azione. La teoria liberale di Croce è dunque anzitutto una teoria della libertà.

Nel testo intitolato Il liberalismo come concezione della vita, Croce stesso definisce “metapolitica” la teoria liberale, in quanto essa coincide con una concezione totale del mondo e della realtà.

Secondo il filosofo abruzzese, il liberalismo, lungi dall’essere un prodotto politico, è il fondamento morale di ogni decisione. Di ogni azione indirizzate al progresso effettivo della libertà. Come afferma giustamente G. Cotroneo nel suo testo Croce filosofo italiano, quella di Croce è “una politica dell’etica”. Politica in cui l’etica avrà sempre il ruolo principale.

Il liberalismo crociano non solo è indipendente da ogni teoria economica; un’indipendenza sulla quale si basò la polemica con Luigi Einaudi che, al contrario, riteneva inscindibili liberalismo e liberismo; ma ha un legame accidentale con ogni forma di governo (anche quello democratico) e con qualsiasi istituzione.

Benedetto Croce: il liberalismo al di là dei partiti

Per Croce il partito politico è solo uno strumento transitorio che serve al progresso della libertà. Tale idea, come scrive M. Maggi nel libro Croce filosofo politico, “consente di riconoscere la funzione dei partiti e programmi politici”; ma, al tempo stesso “respinge la loro sublimazione a entità formatrici alle cui astratte ragioni subordinare le scelte”.

La declinazione apolitica che il filosofo dà al liberalismo spiega la sua condanna nei confronti di chi, pur dicendosi liberale, sottomette le scelte politiche agli interessi del partito: secondo Croce, quando l’adesione al partito diventa “pregiudizio”, a guidare il desiderio di cambiamento non è certamente l’“animo liberale”; quest’ultimo, piuttosto che guardare ai programmi, decide per ciò che, nella concretezza di un dato momento storico, sembra più adatto alla crescita e alla diffusione della libertà.

Benedetto Croce, contrario ad ogni ideologia e ad ogni fanatismo, è in grado di indicare tuttora la strada per una politica in cui, come egli annuncia nel testo La storia d’Europa, “la libertà è l’unica religione”.

Rosaria Mautone

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