Tempo indeterminato, è crollo proprio laddove si assume di più

contratti a tempo indeterminato

Tempo indeterminato, è crollo proprio laddove si assume di più

Siamo tornati al tempo della crisi, quello più buio, il 2013. Non per quanto riguarda il PIL, che continua a crescere, ma una variabile forse considerata da molti più importanti. Quella del lavoro a tempo indeterminato.

Nonostante il jobs act oramai attivo da anni, negli ultimi due trimestri il saldo tra assunzioni, trasformazioni (da tempo determinato e indeterminato) e cessazioni è tornato negativo dopo molti anni.

-9.300 persone nel terzo trimestre 2017, -33.600 nell’ultimo dello stesso anno.

Contemporaneamente l’occupazione dipendente continua a crescere, ma solo grazie ai contratti a tempo determinato.

Che una volta, tra 2011 e 2013, durante la crisi erano quelli che, avendo meno tutele, venivano maggiormente eliminati nelle ristrutturazioni aziendali. E che poi, tra 2015 e 2016, all’epoca degli incentivi tramite decontribuzione, venivano trascurati a favore dei contratti a tempo indeterminato.

Almeno finchè gli incentivi non sono finiti.

Oggi i maggiori posti di lavoro dipendente sono assorbiti tutti solo con posti a termine. Il loro saldo è positivo per 108.100 a fine 2017. Non si è mai raggiunto un livello simile a quelli degli ultimi due anni.

 

Contratti a tempo indeterminato, è crisi soprattutto nei servizi

A quanto pare il fenomeno del boom dei posti a termine e della crisi di quelli permanenti è collegato al tipo di settore esaminato.

Quello più interessato da questi cambiamenti è soprattutto quello dei servizi di mercato, ovvero del settore privato. Quel mare magnum che mette insieme la consulenza finanziaria e la manicure, l’informazione e il turismo.

Questo ambito è il più dinamico, quello più elastico rispetto ai cambiamenti dell’economia, quello che nel periodo degli incentivi ha visto un vero e proprio boom, arrivando a sfiorare i 200 mila nuovi contratti a tempo indeterminato a inizio 2016.

Ma è anche quello che ora conta una contrazione di 25 mila posti con lo stesso topo di contratto. Al contrario di quanto accaduto nell’industria, che ha vissuto una crisi infinita fino al 2015, ma che ora, essendosi rafforzata, ed essendo più produttiva, vede una situazione di maggiore equilibrio. Ha infatti perso “solo” 6 mila posti a tempo indeterminato.

                         Tempo indeterminato

Eppure considerando tutti i contratti quello dei servizi rimane il settore che sta assumendo di più. I servizi di mercato hanno un saldo positivo di 53 mila persone, gli altri servizi di 20.900. Mentre l’industria di 18.400.

 

 

Il problema è che è sempre minore il rapporto tra posti a tempo indeterminato e determinato, meno del 22% per i servizi di mercato, mentre era arrivato a essere superiore al 50% nel 2016.

Nell’industria è diverso, si è ora al 55,1%, e si superava il 100% tra 2015 e 2016. Quindi erano più i contratti a tempo indeterminato che a termine.

E’ una caratteristica strutturale quella per cui nei servizi, dove si concentrano le aziende più piccole e spesso instabili, si predilige più che nell’industria il tempo determinato. Sono ambiti con un maggiore ricambio, dove a volte si richiedono minori competenze.

Il fatto è che in questo periodo la crescita dell’occupazione è portata proprio dai servizi.

E di conseguenza una maggiore incidenza di questi significa meno posti permanenti nell’economia e più a termine. E sarà così ancora per molto tempo.

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