Pinocchio: la favola di Collodi torna nella versione di Garrone

Pinocchio arriva nei cinema! Il film diretto da Matteo Garrone e da lui sceneggiato insieme a Massimo Ceccherini, arriva finalmente nelle sale italiane.

Pinocchio: la favola di Collodi torna nella versione di Garrone.
Pinocchio: la favola di Collodi torna nella versione di Garrone

Pinocchio arriva nei cinema! Il film diretto da Matteo Garrone e da lui sceneggiato insieme a Massimo Ceccherini, arriva finalmente nelle sale italiane.

La storia di Pinocchio nell’immaginario collettivo

Era il 5 novembre del 1947 quando Pinocchio arrivava nelle sale italiane, a 7 anni distanza dal debutto americano del 1940. Il cartone, tratto dal romanzo di Collodi Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, conquistò presto il suo posto nell’immaginario collettivo, superando la prova del tempo e diventando tappa fondamentale dell’infanzia di ogni bambino.

Come per molte altre storie, anche per Pinocchio sono state realizzate nuove versioni, film, sceneggiati e remake vari. Senza dimenticare il coinvolgimento del burattino e di Geppetto anche nell’universo di Kingdom Hearts (famoso gioco per console). Insomma, che il personaggio nato dalla penna di Collodi sia parte integrante della cultura pop degli ultimi 70 anni è un fatto inconfutabile.

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Matteo Garrone e il suo Pinocchio.

È per questo che definire coraggiosa la scelta di Matteo Garrone, ossia quella di riproporre la favola in un nuovo film, è quasi un eufemismo. Con un cast esperto e tutto italiano, il regista propone un vero e proprio reboot del cartone. Roberto Benigni, Rocco Papaleo, Massimo Ceccherini, Gigi Proietti abbracciano quindi grandi e piccini pronti a calarsi nuovamente nel mondo creato da Collodi. La domanda quindi è intuibile:

Garrone è riuscito nel suo intento?

Posto il quesito fondamentale su cui si deve ragionare, va subito sottolineato come il lavoro svolto dalla produzione RAI sia stata non solo efficiente, ma anche efficace. Matteo Garrone prende le redini e governa la realizzazione del nuovo Pinocchio, senza tuttavia – tirando le somme – distinguersi particolarmente da quanto visto fino a ora.

I fatti qui narrati, infatti, ripercorrono quasi totalmente quelli del cartone. Ciò che appare evidente è la vicinanza più con la pellicola Disney che con il romanzo, quasi a lasciar intendere che il film non sia altro che una versione moderna. Garrone riesce però nei dettagli. Sono forse quelli, infatti, a dare una diversa sfumatura alla sua versione. La miseria e la semplicità di Geppetto, presentato mentre raschia i resti del formaggio con l’ausilio di una pialla, è resa perfettamente tanto dall’attore quanto da scenografia e dalla fotografia di Bruel.
I volti, gli abiti, gli sfondi, inoltre, calano lo spettatore nel contesto, dando forse più empatia della storia stessa. Mentre la fotografia di Nicolaj Bruel, dicevamo, incanta lo spettatore, la storia procede veloce, raccontando quanto più possibile senza così dare il tempo di predisporsi a quella magia che dovrebbe ostentare.
Ecco forse una delle uniche crepe, forse la più fastidiosa: se sorprende e fa breccia il Geppetto di Benigni – poveruomo in estasi all’idea di esser diventato padre – delude e non convince del tutto la nuova forma del grillo parlante, personaggio tanto amato e importante in precedenza, qui riproposto sminuendone il valore e dandogli, forse volutamente, sembianze discutibili.

Garrone modernizza la trasposizione del classico di Collodi

Nel film troviamo, infatti, una sottile aura di spavento e inquietudine, sempre accompagnate da una certa patetizzazione (come quando la Fata Madrina minaccia il burattino di farlo portare via da dei becchini, i quali, in forma di coniglio, si presentano – reggendo una bara, scivolando sulla scia di bava lasciata dalla governante-lumaca). Di forte impatto sono inoltre la scena in cui Pinocchio e Lucifero diventano somari, così come l’incontro del ragazzo con il tonno, nelle fauci della balena.

Garrone quindi riesce a riproporre la fiaba del burattino, senza però conservare quella magia, quel pathos di cui era invece carica la trasposizione animata. Il dubbio si insinua forse nella consapevolezza che lo stesso cartone probabilmente non susciterebbe più le stesse emozioni, visto il diverso intrattenimento dei giorni nostri.

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