Periodo di comporto: cos’è, malattie escluse e come funziona

Periodo di comporto: che cos’è e come funziona. Quanto dura e quando una malattia è esclusa dall’applicazione di tale istituto

Periodo di comporto cos'è, malattie escluse e come funziona
Periodo di comporto: cos’è, malattie escluse e come funziona

Facciamo di seguito chiarezza sul periodo di comporto, ovvero su uno dei diritti fondamentali del lavoratore, legato al proprio datore di lavoro con un contratto. Che cos’è e quali sono le malattie escluse? Vediamolo.

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Periodo di comporto: di che si tratta di preciso?

Il diritto del lavoro in Italia prevede speciali norme di tutela per il lavoratore e, tra esse, quella per la quale il lavoratore ha diritto a non essere licenziato, laddove si trovi in stato di malattia. In verità, la situazione del lavoratore malato è piuttosto delicata, essendo in gioco due interessi tra loro opposti: quello del datore di lavoro a riavere al più presto il suo lavoratore in azienda e quello del lavoratore a curare al meglio la propria salute. La legge vigente ha trovato un compromesso o equilibrio tra queste due contrapposte esigenze, attraverso la previsione del cosiddetto periodo di comporto. Che cos’è esattamente?

Ebbene, va premesso anzitutto che tale periodo non può essere oggetto di definizione univoca, dato che questo istituto è regolato in vario modo, a seconda del CCNL di riferimento. In via generale, possiamo piuttosto dire che il periodo di comporto tutela il dipendente malato poiché egli mantiene il suo posto di lavoro per un certo lasso di tempo, non correndo il rischio quindi di perderlo e di vedere le sue mansioni svolte da un neo-assunto.

In questo quadro, il lavoratore malato ha diritto a non recarsi sul luogo di lavoro, in modo da guarire e nonostante non faccia alcuna attività di lavoro, va retribuito in parte a carico dell’Inps ed in parte a carico del datore di lavoro (ma soltanto se il CCNL applicato dispone un’integrazione dell’indennità di malattia Inps, che grava sul datore).

Come anticipato, il periodo di comporto permette al lavoratore di conservare il proprio posto in azienda, così come afferma l’art. 2110 Codice Civile. Se è vero quindi che il lavoratore in tanti altri casi è licenziabile, non può esserlo per malattia.

Quanto dura tale periodo?

È chiaro che il periodo di comporto non può essere tuttavia infinito. La durata di questo lasso di tempo, in mancanza di una regola che valga per ogni contratto di lavoro, è stabilita:

Pertanto abbiamo che per quanto attiene alla categoria legale degli “impiegati”, la legge dispone che il periodo di comporto duri 3 mesi, se l’anzianità di servizio del dipendente è sotto ai 10 anni; è invece di 6 mesi se l’anzianità supera i 10 anni. È chiaro che, comunque, se il rapporto di lavoro è disciplinato da un particolare CCNL, sarà necessario considerare le norme da questo previste, se più favorevoli rispetto al dettato della legge. La prassi dei rapporti di lavoro insegna che solitamente tale durata è corrispondente a 6 mesi. La motivazione è la seguente: l’indennità di malattia Inps è versata per 180 giorni nell’anno solare e pertanto, i CCNL tendono a garantire al dipendente un periodo di comporto equivalente al lasso di tempo in cui egli incassa la tutela economica di malattia.

È chiaro che, scaduto il periodo di comporto – se il lavoratore non ritorna sul posto di lavoro – il datore di lavoro potrà comportarsi come meglio crede, e può anche optare per il licenziamento (giustificato dal superamento di tale periodo), con scelta assolutamente discrezionale.

Quali malattie sono escluse?

In questo quadro, si collocano alcune interessanti precisazioni giurisprudenziali della Cassazione, che ci aiutano a fare luce su quelle malattie che sono escluse dal periodo di comporto. Ebbene, secondo la Suprema Corte, sono escluse dall’applicazione del periodo di comporto (e dal connesso termine temporale) tutte le malattie contratte in azienda o sul luogo di lavoro, a causa dell’attività in sè pericolosa per la salute (ad esempio le malattie alle vie respiratorie, per colpa di fumi tossici in fabbrica), oppure a causa della condotta non diligente del datore, che non ha preso tutte le idonee misure di sicurezza e prevenzione (ad esempio guanti o maschere, oppure attrezzi non a norma).

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Pertanto laddove sia acclarato che la malattia (o l’infortunio professionale) è dovuta alle circostanze appena viste, non valgono le norme sul periodo di comporto ed il datore non può recedere o licenziare il lavoratore malato facendo valere queste norme. In pratica, potrà licenziare il lavoratore soltanto per ipotesi, ad esempio, di licenziamenti collettivi o cessazione attività, ovvero per giustificato motivo oggettivo. Anzi l’azienda dovrà occuparsi di trovare altre mansioni al lavoratore ammalatosi, compatibili con la sua attuale condizioni sanitaria.

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