Orario di lavoro flessibile: modalità, richiesta e benefici. Ecco cosa sapere

Pubblicato il 12 Luglio 2019 alle 16:12 Autore: Claudio Garau

Cosa la legge intende per orario di lavoro flessibile e come si caratterizza concretamente. Come ottenerlo e quali sono i benefici che comporta.

Orario di lavoro flessibile modalità, richiesta e benefici. Ecco cosa sapere
Orario di lavoro flessibile: modalità, richiesta e benefici. Ecco cosa sapere

Sappiamo che l‘orario di lavoro e la sua articolazione nel corso della settimana, sono tra gli aspetti principali di un contratto di lavoro. Vediamo allora come funzionano, anche e soprattutto in relazione alle modalità di lavoro flessibile.

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Orario di lavoro: che cosa dice la legge in proposito?

Non è certamente arduo dare una definizione di orario di lavoro, per capire appieno qual è il contesto di riferimento. Si tratta, semplicemente, di un periodo in cui un lavoratore sia presente al lavoro, a disposizione del datore di lavoro o dell’azienda, e nell’esercizio della sua attività professionale o delle sue mansioni. Secondo quanto sancito dal decreto legislativo n.66 del 2003, l’orario di lavoro settimanale è generalmente pari a 40 ore settimanali. D’altra parte, i contratti collettivi di lavoro possono fissare un orario settimanale inferiore alle 40 ore. Per esempio nel settore pubblico, l’orario di lavoro settimanale è pari a 36 ore. In ogni caso, la legge vigente dispone anche che l’orario di lavoro non può mai oltrepassare le 48 ore alla settimana (ricomprendendovi anche le ore di eventuale straordinario).

La normativa, insomma, si muove anche nella direzione di garantire a tutti il lavoratori il giusto riposo, di almeno 11 ore consecutive ogni 24 ore. Essendo questo il quadro generale, vediamo ora con quali modalità è possibile rendere flessibile l’orario di lavoro, in modo da poter variare nel corso della settimana, laddove possibile, la propria presenza in azienda.

La flessibilità dell’orario: come funziona?

Come anticipato, è possibile variare il numero di ore di lavoro, previste nel corso del giorno, settimana o mese. La legge infatti non lo vieta: si tratta di una libera modulazione che corrisponde ad esigenze aziendali o del dipendente o di entrambi, ma che, allo stesso tempo, deve rispettare i limiti e le regole di riferimento, contenute nel contratto nazionale correlato e negli accordi aziendali. Si parla di flessibilità dell’orario, ad esempio, con riferimento ad orari flessibili di entrata ed uscita dal luogo di lavoro, sempre ovviamente rispettando il monte ore totali previsto dal contratto di lavoro. Inoltre, la legge ammette che un dipendente si accordi con il datore di lavoro, per lavorare più di 40 ore in una settimana, per essere successivamente ricompensato con riposi nella settimana seguente.

Per quanto riguarda l’orario giornaliero, la legge non pone limiti o regole vincolanti, circa la durata. Ma, facendo riferimento alla regola generale sui riposi (11 ore consecutive ogni 24), si deduce che il limite massimo giornaliero all’orario, si deve fissare in 13 ore. Per ciò che attiene all’articolazione o alla modulazione dell’orario nel corso della giornata, essa è, quindi, lasciata alla libera scelta delle parti del contratto. Pertanto si parlerà di orario di lavoro giornaliero flessibile laddove, ad esempio, entrata e uscita non avvengono ad una specifica ora, bensì entro una fascia elastica e determinata a priori. Per esempio, si può iniziare tra le 7 e le 8 del mattino, oppure concludere la giornata lavorativa tra le 18 e le 19, inclusa l’ora di pausa.

Flessibilità dell’orario significa anche orario di lavoro multiperiodale. Con questa definizione la legge intende quel tipo di orario, variabile a seconda dei periodi, in relazione alle esigenze produttive dell’azienda o industria. In altre parole, può succedere che il datore di lavoro, in alcuni mesi dell’anno, debba far lavorare i propri lavoratori qualche ora in più, e in altri periodi o mesi possa invece ridurre il monte ore. Ciò sempre rispettando il limite massimo di 40 ore settimanali o le ore previste dai contratti collettivi, avendo i dodici mesi come parametro di riferimento.

Altri esempi di lavoro flessibile sono l’orario concentrato (il dipendente lavora senza interruzione per la pausa pranzo e può uscire quindi prima), e il cosiddetto “lavoro ad isole” (i dipendenti che hanno le stesse mansioni in azienda, hanno facoltà di organizzarsi e regolarsi in modo autonomo anche per assentarsi, mantenendo, comunque, la continuità del servizio).

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Come richiedere la flessibilità e quali sono i vantaggi pratici

Le regole specifiche della flessibilità debbono essere concordate, in forma scritta, con ogni dipendente. Anzi, quest’ultimo ha diritto ad aver comunicazione delle variazioni di orario con un preavviso di almeno 2 giorni lavorativi e ad una compensazione (riguardante i riposi) prevista dai contratti collettivi. È vero che la flessibilità è posta a seguito di accordo tra azienda e lavoratore, ma occorre però rispettare alcuni punti cardine, vale a dire: l’indagine nell’azienda per capire le specifiche esigenze di variazione orario; l’indagine sui vincoli a livello produttivo ed organizzativo; la pianificazione dell’attività e l’accordo con il cosiddetto rappresentante dei lavoratori.

Circa i possibili vantaggi della libera modulazione dell’orario di lavoro, è chiaro che non sono pochi. Per l’azienda, è positiva in quanto riduce gli attriti e i contrasti interni e aumenta la soddisfazione del personale in generale. Inoltre si contrappone all’assenteismo e migliora la produttività. Anche per i lavoratori è positiva, in quanto riduce lo stress e aumenta la qualità della vita, dando più spazio al tempo libero; aumenta la motivazione nello svolgere l’attività e il senso di autonomia.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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