Contratto di convivenza: quando si può recedere e a che condizioni?

Contratto di convivenza: come funziona il recesso unilaterale in queste circostanze? ci sono condizioni da rispettare? Ecco i dettagli

Contratto di convivenza: quando si può recedere e a che condizioni?
Contratto di convivenza: quando si può recedere e a che condizioni?

Recentemente ci siamo occupati del contratto di convivenza e dei vantaggi che comporta per la coppia che convive e che intende stipularlo. In effetti tale contratto fa chiarezza su come regolare gli aspetti patrimoniali della vita in comune, con riguardo alle spese più tipiche, come ad esempio bollette, affitto e quant’altro. Tale accordo è insomma utile perché permette di evitare fraintendimenti o equivoci in tema di diritti e doveri dei conviventi, senza bisogno di optare per l’unione matrimoniale, verso la quale i conviventi potrebbero avere più di una incertezza. Tra l’altro il contratto in oggetto permette di scegliere o meno il regime di separazione dei beni nella coppia, assicurando così una certa flessibilità del rapporto.

Di seguito vogliamo vedere da vicino un particolare aspetto del contratto di convivenza, che può rilevare dopo un po’ di tempo dalla stesura del citato contratto di convivenza: è ammesso il recesso in materia? e se sì, come funziona? Facciamo il punto.

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Contratto di convivenza: la svolta della legge Cirinnà

Avevamo già ricordato che è stata la legge Cirinnà del 2016, relativa alla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e delle convivenze, a costituire un passo avanti di civiltà. La volontà è stata infatti quella di introdurre un ventaglio di diritti e tutele anche a favore di chi non intende o non vuole sposarsi, per le più svariate ragioni.

Vale la pena ricordare che la legge Cirinnà ha inteso equiparare il più possibile l’unione civile al matrimonio: in tale normativa si trova infatti che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e quelle contenenti le parole “coniuge”, o “coniugi”, o termini equivalenti – ovunque ricorrano nelle leggi – valgono anche per ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

Flessibilità ed elasticità sono garantite altresì al contratto di convivenza, che infatti può essere sottoscritto o con atto pubblico notarile oppure con scrittura privata autenticata anche da un avvocato.

Requisito essenziale per potersi avere un valido contratto di convivenza, tra gli altri che abbiamo già evidenziato, è però che i conviventi siano uniti da uno stabile e solido legame affettivo, che li ha condotti a vivere continuativamente sotto lo stesso tetto. Due colleghi d’ufficio che vivono assieme per ragioni di lavoro oppure due studenti che convivono per dividere le spese di affitto, non potranno dunque stipulare detto contratto.

Come funziona il recesso in questo ambito?

Sgomberiamo il campo da ogni possibile dubbio: il recesso da un contratto di convivenza è operazione certamente possibile. D’altra parte, non potrebbe essere diversamente, data la flessibilità che caratterizza tale accordo, per sua natura.

Pertanto, ognuno dei conviventi può esercitare il recesso senza limiti di tempo. Tuttavia, affinché tale recesso sia considerato valido, deve essere messo nero su bianco con una dichiarazione unilaterale, ovvero con scrittura privata autenticata o atto pubblico, esattamente come per la stesura del contratto in oggetto. Una volta esercitato il recesso, però, è necessario che questo sia fatto pervenire entro 10 giorni al Comune di residenza dei conviventi, allo scopo di essere iscritto all’Anagrafe ed essere notificato all’altra parte del contratto, presso l’indirizzo risultante dal contratto.

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La legge prevede una speciale tutela per chi tra i due conviventi non è proprietario dell’abitazione: in caso di recesso unilaterale, vanno concessi almeno 90 giorni per consentire all’altro contraente di individuare un nuovo alloggio. E la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, dovrà includere il detto termine.

Va infine rimarcato che gli effetti del contratto di convivenza cessano anche per accordo delle parti, per eventuale matrimonio o unione civile di uno dei contraenti o degli stessi contraenti tra loro, oppure per decesso di uno di essi.

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