Balotelli e Monti, le finali dei due SuperMario

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La fortuna, fatto culturalmente neutro come ben sappiamo dai tempi di Machiavelli, ieri notte si è divertita a convergere in positivo sull’Italia. Due volte. In una semifinale degli Europei e in un summit europeo. Con due Mario entrambi decisivi per piegare le resistenze della Germania, la nazionale e la nazione più poderosa in questi mesi del Vecchio Continente.

Che sia una congiunzione molto generosa per il nostro paese lo si è ben percepito stamane alle 5.20, quando il secondo Mario, quello più anziano della compagnia ha annunciato di aver portato l’Italia nelle battute finali dello scontro con Mr. Spread. Le consegne passano al vertice dei ministri delle finanze, che il 9 luglio entrerà nei dettagli.

Quanto basta per far scendere il differenziale fra Btp e Bund a 430 punti e ripristinare la serenità sui mercati come non succedeva dai giorni del suo ingresso a palazzo Chigi e della manovra salva-Italia.

Due sono state le variabili, manipolando le quali Monti è riuscito a portare la fortuna dalla sua: non aver mai derogato dal giorno del suo insediamento alle misure di contenimento dell’indebitamento anche al costo di sfidare un ceto medio abituato a pagare sì molte tasse, ma anche a ribellarsi nell’urna; l’affidabilità a livello internazionale.

Un punto da approfondire. Non si ha memoria nell’ultimo decennio o anche negli anni ’90 di un summit comunitario dominato da una road map imposta da un premier italiano. E non si ricorda francamente l’ultima volta in cui l’Italia abbia posto un veto, raccogliendo un ascolto unanime.

È un successo che si configura ben oltre la contingenza o la tecnica decisionale. Ammirevole il lavoro di coordinamento con la Spagna e il gioco delle parti con la Francia – con la minaccia di far saltare il piano della crescita di Hollande qualora non si fosse sbloccato il meccanismo di stabilizzazione dello spread –, ma sarebbe stato in gran parte vano se nelle cancellerie europee il raccordo e la bozza di intesa fossero provenuti da un leader minato da qualche scandalo o da diatribe interne e non da un attempato docente di economia, temuto dalla sua stessa ampia maggioranza parlamentare.

I fan del patto fra moderati e progressisti da stamane potranno scoccare molte frecce contro il ritorno ad una radicalizzazione del bipolarismo lungo la linea PPE-PSE e l’europopulismo di Berlusconi perde la sua base d’appoggio.

 

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Il Pdl, più di tutti si dovrà misurare sulle conseguenze nella sua economia domestica della pax montiana in Europa. Moltissimo dipenderà dalla gestione della vittoria da parte del premier stesso. Di ritorno a Roma non troverà un paese di nuovo in rampa di lancio per tornare a crescere. Tutt’altro. Il rapporto di Confindustria, che vaticina la perdita di 1,5 milioni di posti di lavoro alla fine del quinquennio 2008-2013 scatta una fotografia di un’emergenza sociale pronta a dipanarsi drammaticamente entro pochi mesi.

E va ad incrociare, involontariamente, la vittoria dell’altro Mario, Balotelli. Nel suo tripudio per la finale conquistata, l’Italia eternamente indecisa se accogliere e coccolare i suoi eroi o abbatterli ha innalzato la biografia di un figlio di immigrati che maturando in vivai locali è riuscito a perfezionare la caratura di un campione. È una storia di riscatto sociale, alla quale ben poco il nostro paese abitua i suoi figli. Se non in campo sportivo e, restringendo meglio il cerchio, sui prati verdi di calcio. Una costante sulla quale dovrà cimentarsi il Mario economista, quello che segna di testa dopo un fraseggio con Hollande e un assist di Rajoy.