Chi premierebbe una legislatura costituente?

La fine della legislatura in Italia è vissuta secondo una tradizione ben precisa: c’è un governo che puntualmente lamenta di essere stato fermato dal Parlamento nel suo processo riformatore e forze di maggioranza che vagheggiano interventi di ingegneria costituzionale pur sapendo di non poterne fare di nulla per i tempi tecnici e, soprattutto, per il disincentivo a intese fra avversari sprigionato dall’apertura della campagna elettorale.

Con la grosse koalition di Monti il primo leit motiv è entrato in crisi. Quando sono poco incisivi sulle liberalizzazioni oppure sulla manutenzione dell’articolo 18 i tecnici non usano l’alibi di qualche parlamentare renitente. Del resto, il rapporto fra i disegni di legge, i decreti governativi e le Camere si regge a colpi di fiducia.

 

Non è andato perduto il secondo motivo ricorrente. Molti parlamentari del Pdl e del Pd si sono buttati a capofitto nel vivacizzare gli ultimi mesi della legislatura discettando della più grande riforma della Costituzione dopo il Big Bang.

Poco male, si dirà. È dai tempi della commissione bicamerale Bozzi che in Italia si prospettano le grandi riforme per arrivare al semipresidenzialismo, lasciando intatta la prima parte del dettato, per finire affossate complici veti politici o manovre traverse per mettere in crisi gli avversari: resta agli annali l’operazione di Berlusconi per far chiudere infruttifera la Bicamerale nel 1998 per spingere l’Ulivo a cacciare Prodi da palazzo Chigi.

Col mandato iniziato nel 2008, invece, l’intento era di fare sul serio. “Serve una legislatura costituente” disse per primo Gianfranco Fini, nel momento di insediarsi alla presidenza della Camera. Colto dall’appetito logico di coordinare in prima persona il dialogo sulla revisione della Costituzione. Per tre-quattro anni si sono alternati gli altri: da Berlusconi a Bersani, che la propose appena un anno fa, fino a un insospettabile Roberto Calderoli, ai tempi ministro leghista che fece agognare i suoi militanti di essere lì lì a trovare la strada giuridicamente legale per l’indipendenza della Padania.

L’espressione, del resto, si è prestata a una grande ambiguità offrendo un ventaglio di strumenti ben confuso: il solito Fini dallo scranno più alto di Montecitorio intendeva ripescare la bozza Violante per attuare interventi mirati sulla seconda parte, per superare il bicameralismo perfetto e conciliare il federalismo con principi di unità; Berlusconi e Bersani si sono tenuti più sul vago.

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I colloqui col presidente Napolitano avuti in questa settimana hanno permesso, almeno, a Marcello Pera – intelligenza lasciata fra le riserve nel Pdl – di riportare l’espressione ad un significato vicino a quello etimologico. Vogliamo la legislatura costituente? Stupendo. Si convochi un’Assemblea costituente per riscrivere da cima a fondo la Costituzione.

Questa proposta ha anche il placet del capo, di Berlusconi ben contento di potersi inserire negli ultimi giorni utili della sua epopea politica per lasciare una traccia di cambiamento permanente nel funzionamento della democrazia. Il Pd non si è messo di traverso. Riferisce Claudio Tito su “La Repubblica” la collaborazione del senatore democratico Bressa ad un’ipotesi di iter.

Le clausole del patto proposto da Pera sarebbero digeribili: Napolitano prorogato di un anno e una composizione della Costituente sulla falsariga di quella del 1946, non facendosi mancare neppure la commissione speciale dei 75 per rendere più agevole il lavoro in mano a dei saggi.

In proposito non si può far finta di non vedere almeno tre ordini di problemi sull’auspicio di una Costituente nel 2012 o nel 2013: ci sono i saggi a cui affidare la ristesura dei principi fondamentali? A chi converrebbe rimettere mano al principio lavoristico o all’eguaglianza sostanziale o alla funzione sociale della proprietà privata? Fra i saggi bisognerà tener conto dell’onda dell’antipolitica?

Meglio sottrarsi al gioco canzonatorio di accostare i reduci del patto di Lorenzago a dei padri della patria o a dei padri costituenti. Piuttosto bisogna rispondere alla seconda domanda. Dai primi 12 articoli ai principi economici depennare alcuni riconoscimenti sociali per introdurne alcuni di scuola liberal-liberista farebbe sicuramente contento il Pdl e il centrodestra in generale. Potrebbe riscaldare i cuori anche di un’ala liberal-riformista del Partito Democratico, ma sarebbe davvero un buon affare per il “simpatico socialdemocratico” Pierluigi Bersani? 

A sparigliare potrebbe essere l’arrivo in una Costituente, necessariamente elettiva, di una nutrita pattuglia del Movimento 5 Stelle. Dopo tanta delegittimazione si potrebbe immaginare dai grillini una corrispondenza positiva con quei partiti, che hanno contribuito a delegittimare? Nel caso, sarebbe più una missione impossibile tentare di trovare l’incastro.