Russia, la (ri)elezione feudale dei vassalli

Tre sono gli elementi caratterizzanti il feudalesimo, detto altrimenti sistema vassallatico-beneficiario. Il primo, l’elemento reale, consiste nell’honor o beneficium, sia esso terra o bene mobile o ufficio remunerato a vario titolo, dato in concessione dal dominus al vassus. Il secondo, l’elemento personale, si struttura come contratto privato assicurante al vassus la protezione del dominus dietro l’offerta dell’homagium (fedeltà e servizio). Il terzo infine, l’elemento giuridico, assicura al vassus sia l’immunità giudiziaria sia il diritto di giurisdizione offuscante il concetto di honor (la concessione del diritto di esercitare funzione pubblica) con quello di dominatus (l’esercizio di un potere di fatto su uomini e beni).
Questo descrivono, riportando indietro di secoli le lancette degli orologi, gli esiti elettorali delle amministrative tenutesi in Russia lo scorso 14 ottobre. Il successo elettorale conquistato nei feudi-regioni al voto dal partito Russia Unita riporta in scena la triste rappresentazione propria dei teatri elettorali putiniani. La pratica dei brogli, esercitata sistematicamente nelle circoscrizioni al voto, trova però due elementi di novità. Il primo è la normativa che ha regolato la consultazione elettorale. Si è ritornati, infatti, dal cosiddetto sistema di “filtro presidenziale”, creato da Putin nel 2004 al fine di centralizzare il controllo, al sistema di “filtro municipale”, re-introdotto da Medvedev con lo scopo di assicurare nuovamente l’elezione diretta dei governatori. Tradotto ciò significa applicazione sussidiaria del controllo. Se prima le candidature venivano vagliate direttamente dal Cremlino, rientrano ora nella competenza delle autorità locali. Queste hanno oggi la responsabilità di assicurare o meno, secondo il gradimento della candidatura, la necessaria percentuale di consenso (5-10%) utile a chi decida di prender parte alla contesa. Essendo però embrionica l’integrazione tra sistema vassallatico-beneficiario putiniano e autorità locali, ciò assicura di fatto l’esclusione di qualsiasi candidatura sgradita. Le uniche “presunte” opposizioni accettate assumono infatti le sembianze di partiti creati ad hoc da “presunti” oppositori-complici del Cremlino, garantenti la democrazia da vetrina tanto cara a Putin. La seconda novità è il manuale intitolato “Strategia della Campagna Elettorale Regione di Novgorod” (http://vk.com/album748051_163738187). Esso, diffuso coraggiosamente dallo “Smart People’s Forum”, illustra le fini pratiche, architettate dagli strateghi locali di Russia Unita, volte a rendere la tornata non concorrenziale e ad assicurare così all’incumbent una facile riconferma. Le agghiaccianti pagine del documento recitano “the main instrument for ensuring the necessary results for candidate S. Mitin (Russia Unita) is to create a group of controllable candidate-opponents with the use of municipal filter”, “Consultation with these parties have been carried out as to their possible candidates; the presumptive candidates are controllable”.

E l’opposizione? Essa ha provato, sfruttando la scala locale della tornata e la conseguente illusione dell’assenza di brogli, a giocare le sue carte. Niente è riuscita a fare però contro l’oliato sistema corruttorio architettato dal Cremlino. Anche nelle circoscrizioni in cui una vittoria era considerata possibile, essa ha registrato infatti percentuali bulgare di sconfitta. Emblematico il caso di Khimki, comune della periferia moscovita. Qui la candidata Yevgenia Chirikova, forte della popolarità conquistata come guida del movimento democratico e forte del consenso ottenuto attorno alle attività svolte a favore della comunità locale, ha dovuto arrendersi ad un misero 20% di consensi. Un altro esponente dell’opposizione, Sergei Ezhov, candidato nella microscopica cittadina di Sarai, descrivendo la capillarità del sistema di controllo, racconta così gli ultimi giorni di campagna elettorale: “The lawlessness began a few days before the vote, when the cardsharps understood that I’m making it to deputy. Quiet and peaceful Sarai was inundated with deceitful and provocative leaflets, voters were rounded up where they work and study and told not to vote for Ezhov for any reason. At the same time, the police began to interfere with our campaign”.

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Un errore è da imputare però all’opposizione. Negli stessi giorni in cui venivano condotte le votazioni, buona parte dei suoi leader, si batteva infatti, non per sostenere le candidature locali ed allargare così alle periferie il concentrato sostegno di cui gode il movimento di protesta nato un anno fa, ma per garantirsi consensi validi all’elezione (in via telematica) dei 45 delegati costituenti il Coordinamento Interno, una sorta di parlamento ombra simbolicamente replicante le istituzioni ufficiali di cui non si riconosce la legittimità. Posta la bontà dell’iniziativa, anch’essa messa sotto attacco dall’entourage di Putin attraverso un hackeraggio al sito ospitante le consultazioni, la tempistica non è stata sicuramente perfetta. Sottrarre le proprie attenzioni alla tornata amministrativa non ha aiutato infatti un’opposizione già ampiamente ed incolpevolmente indebolita dalla scarsa democraticità che ha contraddistinto i processi elettorali. Ciò, oltre ad aver creato un danno direttamente elettorale, sembra aver contemporaneamente delegittimato chi, attraverso la consultazione interna, era in cerca di consenso. La logica dell’interesse personale è stata infatti imputata a chi ha deciso di organizzare la seppur stimabile iniziativa in quasi-simultanea concomitanza (20-21 ottobre) con le amministrative.

La tornata ha visto infine nuovamente affermarsi quello che sembra essere il protagonista delle recenti consultazioni elettorali nello spazio post-sovietico: l’astensionismo. L’affluenza alle urne oscillante tra il 15% (Kamchatka e Primorye) e il 28% (Khimki) ri-lancia l’ennesimo messaggio  con retrogusto di boomerang. Pur costituendo un importante monito di condanna agli assetti di potere creatisi nello spazio post-sovietico, esso non garantisce infatti alcuna solida base utile a intraprendere i necessari processi di cambiamento in prospettiva futura, perpetrando così lo status quo e i benefici di chi lotta per conservarlo.

Nel mentre, i leader del movimento democratico, Sergei Udaltsov e Alexei Navalny, continuano a subire intimidazioni. I vassus, rinvigoriti dalla conferma elettorale, sottoscrivono il loro nuovo homagium. Il dominus rafforza il proprio potere. Il sistema vassallatico-beneficiario impera.