Mourdock, il disastro del Tea Party porta i repubblicani verso la sconfitta

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“Sono contrario all’aborto, tutte le gravidanze, anche quelle causate da un atto ignobile come lo stupro, sono atti voluti da Dio”.

E sono due. RichardMourdock è il secondo candidato repubblicano al Senato ad inciampare disastrosamente sul tema dell’interruzione di gravidanza, alienandosi così il voto di molte donne, e molto probabilmente la stessa elezione.

Parole sicuramente biasimabili ma, al di là del condannare la gravità delle stesse, occorre una riflessione generale sul fenomeno dei tea party, quell’ala oltranzista del partito repubblicano, che trova la sua espressione in candidati così fuori dal “mainstream popolare”.

Sì perché Mourdock sarebbe rimasto il quasi sconosciuto ministro del tesoro dello stato dell’Indiana se non avesse sconfitto nelle primarie di partito il moderato Richard Lugar, senatore da più di 40 anni, un politico talmente popolare che alle ultime elezioni (nel 2006) il partito democratico aveva ritenuto inutile opporgli un candidato. Lugar vinse infatti col 95% delle preferenze.

Sospinto dal tea party, dal “gemello” club of growth e dai soldi dei fratelli Koch, miliardari di estrema destra, Mourdock aveva battuto Lugar nella “battaglia dei due Richard”, con poco più del 60% delle preferenze. Suo lo slogan: “serve un vero conservatore a Washington”.

E Lugar d’altronde non era ritenuto tale; sua la colpa (come se davvero fosse una colpa), secondo il tea party, di “dialogare coi democratici”. In breve: un RINO (Republican In Name Only).

La sconfitta di uno dei senatori più esperti ed apprezzati del paese fu uno shock per molti (anche se, a dirla tutta, esisteva il precedente del 2010 quando un giovane e sconosciuto avvocato di nome Mike Lee vinse contro il quasi ottuagenario, ma “troppo moderato”, Bob Bennett in Utah), ed altrettanto lo furono le parole di Mourdock che, appena ottenuta l’investitura, sentenziò sull’inutilità di essere bipartisan, o di lavorare insieme ai Democratici; l’Indiana voleva un conservatore intransigente.

Talmente intransigente che, secondo gli analisti, eleggerà un democratico. Certo, uno dell’ala destra del partito, ma pur sempre un democratico: il deputato Joe Donnelly.

Questo ciclo elettorale doveva essere, a detta di tutti, la volta che il GOP avrebbe riconquistato la maggioranza al Senato, dopo averla conquistata alla Camera durante le elezioni di midterm del 2010. Semplicemente troppi i seggi da difendere per il partito democratico, molti in territori storicamente ostili come Nebraska o North Dakota. Certo, Mitch McConnell e John Cornyn, leader repubblicani alla Camera Alta, sapevano di dover difendere a loro volta seggi difficili come quello di Scott Brown in Massachusetts, ma mai si sarebbero aspettati un altro 2010.

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Allora i candidati del tea party O’Donnell (affettuosamente soprannominata “la strega”), Buck e Angle, sconfiggendo i preferiti dall’establishment durante le primarie, fecero sfumare vittorie pressoché’ assicurate in Delaware, Colorado e Nevada. Due anni dopo è invece la volta di Mourdock e Akin: uno consegnerà un seggio storicamente repubblicano ai democratici, l’altro non riuscirà a sconfiggere Claire McCaskill, la senatrice più impopolare d’America, a causa di un’altra “gaffe” sull’aborto (“è mia convinzione medica che il corpo delle donne abbia degli anticorpi naturali per evitare la gravidanza in caso di stupro”). Se aggiungiamo poi che l’indipendente (ma con tendenze democratiche) Angus King conquisterà il seggio del Maine che era della repubblicana moderata Olympia Snowe, ritiratasi perché “schifata” dall’estremismo ” imperante” in politica, ecco che il quadro è completo: altro che conquista del Senato, sarà difficile evitare che i democratici incrementino la loro attuale maggioranza.

Ed ora anche Romney trema. Giusto l’altro giorno aveva girato uno spot, prontamente trasmesso sulle tv dell’Hoosier State: “Indiana, unisciti a me nel sostenere Richard Mourdock al Senato”. A parte la figuraccia del dover ritirare il proprio appoggio poche ore dopo averlo concesso, la preoccupazione ora è un’altra: che le donne votino in massa per Barack Obama nel timore che Romney possa rivelarsi simile a quei Mourdock o Akin che ancora dominano nel suo partito. Credete davvero che la frase di Obama nel dibattito “Romney vuole riportarci alle politiche sociali degli anni ’20” fosse casuale?

Romney ritira il suo appoggio, Obama cerca di dipingere lui e tutti i repubblicani come “pericolosi estremisti”, Mourdock si scusa dicendo di essere stato “frainteso” e Akin persiste in gaffe fra l’incredulità e la disperazione del suo partito (l’ultima? Aver definito Claire McCaskill “una cagna al servizio di Washington”). Come finirà?

Il 6 novembre gli Americani si esprimeranno, ma fino ad allora sarà inevitabile chiedersi: a cosa mai sarà servito il Tea Party?