Franceschini e il video della discesa in campo: diretto, ma non convince

dario franceschini

 

Franceschini e il video della discesa in campo: diretto, ma non convince

Un discorso troppo lungo, con alti e bassi ma scenografia e mimica (ingessate) che non convincono. Nella nuvola semantica (da TagCrowd) spiccano soprattutto i riferimenti politici, da ‘destra’ (‘sinistra’ non compare neanche una volta) a ‘pd’ e soprattutto ‘partito’. Ma c’è anche un richiamo a un possibile destino comune: ‘abbiamo’, ‘missione’, ‘cominciare’, ‘speranze’, ‘futuro’. Breve analisi del video della “discesa in campo” di Franceschini alla segreteria del PD. Con le impressioni di Giovanna Cosenza (Disambiguando), Maria Bruna Pustetto (Politicazione) e Dino Amenduni (Proforma).

Dario Franceschini ha scelto un video per inaugurare la sua campagna elettorale per il congresso di ottobre del Partito Democratico. Così come fece Enrico Letta alle prime primarie, nell’ottobre 2007.

Un video semplice, non particolarmente curato sotto l’aspetto grafico e della preparazione scenografica, ma senz’altro studiato nei dettagli per quanto riguarda i contenuti del discorso.

Franceschini appare insolitamente deciso ma al tempo stesso rassicurante, nonostante pecchi un po’ di antipatia (come sottolineato dall’esperta spin doctor Maria Bruna Pustetto, “la camicia stirata e i libri sullo sfondo perfettamente allineati non sono certo stati un’idea smagliante”, e c’entrano ben poco con lo stile del popolo della rete).

La durata del video è eccessiva: 7 minuti abbastanza piatti, senza “colpi di scena”, che sicuramente non invogliano l’utente medio di YouTube ad ascoltare il segretario uscente del Pd. Ma forse la scelta di Franceschini è stata proprio questa: parlare ai “suoi”, ai giovani democratici presenti sul web.

Infatti nel suo discorso il leader ha strizzato più volte l’occhio alle nuove generazioni democratiche, ponendosi come candidato dei giovani, contro gli accordi di palazzo, contro la vecchia politica (“mi candido per non tradirli, per il futuro, per non tornare indietro, a quelli che c’erano prima, molto prima di me”, tra l’altro). Comincia difendendo il proprio operato, i risultati raggiunti alle ultime elezioni da un partito che sembrava morto e che invece ha resistito più del previsto, rivendica il ruolo internazionale del Pd. Un tratto che, rileva Dino Amenduni dell’agenzia di comunicazione Proforma, “non scalderà certo i cuori dell’opinione pubblica, ma è un dato di fatto su cui la sua credibilità si può poggiare”. Continua spiegando perché, alla fine, ha scelto di ricandidarsi. Troppe divisioni stanno riemergendo, troppi protagonismi stanno ritornando. Voleva passare il testimone a un giovane, però queste ragioni l’hanno spinto a chiedere una riconferma (verrebbe da chiedere: non poteva contrastare queste divisioni anche un giovane? La Serracchiani, per citare una under 40, non ne sarebbe stata in grado? Solo lui può arginare il nonnismo del Pd?). Però rassicura: coinvolgerà i giovani e gli amministratori locali prima dei big del partito. Il tono del segretario è indubbiamente molto diretto, rispetto alle sue solite prestazioni in televisione e coinvolge maggiormente lo spettatore, tuttavia quest’aria da “secchioncello” conferitagli da un look troppo “perfetto” non convince fino in fondo.

Oltre al look, anche la mimica e il comportamento non verbale di Franceschini appaiono deludenti: infatti – nota Giovanna Cosenza, docente di semiotica all’Università di Bologna e blogger attenta alla comunicazione politica con il suo Disambiguando – l’inquadratura a mezzo busto e la staticità del corpo “irrigidiscono” il video e il messaggio.

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La conclusione del discorso è, forse, la parte più efficace ed evocativa: “il Pd è nato poco più di un anno e mezzo fa. Quando Berlusconi sarà solo un ricordo triste e lontano, il Pd sarà ancora un partito giovane. Dobbiamo volergli bene anche quando inciampa, anche quando sbaglia. Per questo, dobbiamo aiutarlo con tutte le nostre forze, con il nostro entusiasmo e la nostra passione. Sarà un cammino lungo e difficile, ma so che insieme ce la faremo” .

E’ un concetto suggestivo, quello di “voler bene ad un partito”, più adatto alla Prima Repubblica che al giorno d’oggi. Quest’idea di un rapporto emozionale tra il partito e il militante affascina, intriga, si rivela una scelta azzeccata per il finale di un discorso che non passerà certo alla storia per empatia o comunicatività, ma che può essere un punto di partenza per costruire un rapporto nuovo tra partito ed attivista. Più interattivo, più emotivo. Emotività un po’ tradita, va detto, dal linguaggio non verbale: che, ricorda  sempre Giovanna Cosenza, ‘vale’ cinque volte più della parola nella percezione delle persone.

Qualche spunto interessante, da sviluppare. Ma in un discorso globalmente poco incisivo e prolisso, che comunicativamente non convince appieno. Una discesa in campo avrebbe meritato qualcosa di più.