“L’Italia deve fare l’Urss” endorsement marxista al compagno Tabacci

“L’Italia deve fare l’Urss” endorsement marxista al compagno Tabacci 

 

Ma qualcuno si è ricordato che sono primarie di centrosinistra? Anche ascoltando Nichi Vendola, uno cresciuto a falce e martello per tagliarsi il pane quotidiano, si avverte la scomparsa del migliore alimento di ogni campagna elettorale delle forze progressiste: il marxismo.

Fattosi uomo concreto e di governo, dimentico del sogno giovanile della riscossa proletaria – e pure del referendum per abrogare la riforma Fornero sull’articolo 18 – si è accodato ai front-runner della competizione: Bersani e Renzi. Il primo è espressione di quel mondo dalemiano che è capace di produrre – prendiamo a prestito una definizione dell’integerrimo compagno, Guido Rossi – quando va al potere, “l’unica merchant bank in cui non si parla inglese”. Mette distanza con i banchieri a parole, salvo poi concludere pasteggiare nella bassa cucina di Montecitorio dello Zar Mario I.

Quanto al sindaco di Firenze: è chiaro cosa si celi dietro la mania della rottamazione, ovvero la continuità intellettuale con quel mondo marcio del capitalismo che ha instillato nei decenni l’imperativo al consumo gettando il vecchio. Solo un modo per creare – oltre a bisogni artificiali di merci, la reificazione ci direbbe Karl – un’effimera conflittualità e nascondere la vera natura della società fondata sullo sfruttamento: la lotta di classe.

Per questo un marxista in cuor suo non può sostenere un candidato del Partito Democratico (che si chiami anche Laura Puppato) e neanche di Sinistra Ecologia e Libertà (sinistra e libertà…senza alcun riferimento al comitato centrale, che sfacciataggine). Un marxista nel 2013 deve avere la capacità critica di andare oltre ciò che è ideologia, che per Karl era solo l’apparenza offerta dalla borghesia. Apriamo gli occhi e possiamo, quindi, gridare senza paura di essere smentiti dalle leggi eterne della storia: alle primarie di domani non possiamo non dirci tabacciani.

Il grande Br1 è il più convinto assertore della rottura fra la sinistra e il mondo della finanza, non mandandole a dire né a Bersani né a Renzi: “Mi sento un po’ più avanti di loro perché nel tempo – e soprattutto dal 2001 ad oggi – mi è capitato di contestare gli effetti perversi dell’Opa a debito sulla Telecom ma anche il ruolo delle banche sui bond argentini fino agli scandali Cirio e Parmalat, per non dire delle due Opa del 2005 tra loro variamente intrecciate sull’Antonveneta e sulla Bnl”. E’ un passaggio di una delle molte interviste rilasciate dal compagno Br1 alla stampa operaia, non ancora del tutto satura dei finanziamenti corruttivi dei grandi capitalisti.

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E uno dei più significativi per spiegare, perché per Br1 è arrivato finalmente il momento di porsi alla guida della nuova rivoluzione d’Ottobre (nel calendario sovietico le primarie cadono d’ottobre, che si sappia…) dopo una straordinaria cavalcata politica all’insegna dell’entrismo. Il sabotaggio dall’interno è stata una grande specialità del marxista Tabacci. Fin dai tempi della Democrazia Cristiana: la sua stagione della presidenza della Lombardia è stata esemplare. Dopo di lui le destre hanno dovuto mostrare il loro lato peggiore per tornare al potere. E il compagno Br1 si compiace oggi per aver arato il terreno nei suoi anni da presidente e già il prossimo febbraio potrà essere al Pirellone a sventolare dal 31° piano la bandiera rossa con milioni di compagni.

 

È stato entrista con Berlusconi e con Follini, collaborando con entrambi fino a farli diventare due ex: uno ex premier, l’altro ex segretario. Dal comitato centrale del Partito dell’Api, più di recente, ha dato il primo segno tangibile dell’arrivo dei cosacchi: si è preso la briga di fare l‘assessore al bilancio della giunta di Pisapia. Qui, Br1 ha dato il meglio di sé ricordando ai proletari di tutto il mondo quale sia il fine supremo di un marxista: liquidare la bancarotta della borghesia. Quella di Milano, combinata dalla straborghese Letizia Moratti ammontava a 186 milioni di euro.

Sarebbe sufficiente questa biografia a incoronarlo fra i grandi fautori della causa del proletariato. Domani c’è un’opportunità ulteriore: quella di permettere all’entrista Tabacci di sfoggiare definitivamente gli abiti con cui guidò l’assalto al palazzo d’Inverno qualche anno fa. E per chi è ancora indeciso bisogna ricordare lo slogan di questa campagna. Br1 non la pensa come Bersani “L’Italia deve fare l’Italia”, ma viceversa oppone “L’Italia deve fare l’Urss”.