In Romania la vittoria di Ponta apre nuovi scenari

Victor Ponta, politico della Romania

In Romania le elezioni hanno dato un segnale netto di cambiamento dopo che per 8 anni la politica ha ruotato intorno al Presidente Traian Basescu. La vittoria, molto netta, con circa il 60% dei voti degli elettori  (più del 66% dei seggi in parlamento) della coalizione USL (Unione Social Liberale) formata dai Socialdemocratici di Victor Ponta, dai liberali di Crin Antonescu  e dai conservatori di  Dan Voiculescu, tycon dei media e proprietario del seguitissimo canale di informazione  Antena 3,  non lascia margini a dubbi: i rumeni che hanno votato – va detto, il 40% degli aventi diritto – l’hanno fatto prevalentemente con il solo obiettivo di liberarsi del presidente Traian Basescu e contro il suo partito il PDL (che pure si è presentato alle elezioni con la sigla ARD, in un alleanza con alcuni partiti minori che cercava di nascondere il suo passato recente).

 

E’ assolutamente impossibile analizzare  le elezioni parlamentari in Romania senza ricordare gli 8 anni in cui il Presidente Traian Basescu, dopo essere stato eletto nel 1994 a sorpresa, ha gestito la Romania come una sua proprietà assoluta, imponendo attraverso il suo ruolo istituzionale maggioranze parlamentari e di governo che sulla carta non esistevano e forzando più volte l’interpretazione della costituzione per diventare il vero capo del governo.

Un presidente “giocatore”, come si è sempre definito lui stesso fin dal giorno della sua elezione, non tenendo in nessun modo conto del ruolo prevalentemente di arbitro che era previsto dalla costituzione rumena (che rispetto all’omologo italiano ha però il potere di nomina del Premier).

Il 2012 è stato l’anno della sua sconfitta con tre voti consecutivi: amministrative di Giugno, referendum per le sue dimissioni ed elezioni parlamentari.  Tre voti pesantissimi, di cui il più impressionante è stato sicuramente quello del referendum per le sue dimissioni, che solo per una serie di interventi esterni come quello della Comunità europea, e tramite l’utilizzo  di istituzioni di cui ha ancora il controllo – Corte Costituzionale (in cui Basescu ha una maggioranza di 5 voti a 4), Servizi Segreti, Consiglio superiore della Magistratura, Procura Generale e Procura anti corruzione (i cui membri furono scelti da lui senza nessun concorso) – non ha avuto effetto immediato.

Nel voto referendario di fine luglio 7 milioni e mezzo di rumeni votarono contro Basescu (eletto per il secondo mandato nel 2009, in un voto vinto per una manciata di elettori e con contestazioni di frode elettorali a suo favore molto marcate specialmente per il voto dei rumeni all’estero con 5 milioni di voti) in un paese in cui difficilmente votano più di 10 milioni di persone sui 18 con diritto di voto (in Romania, come dimostrano gli ultimi dati dell’Istituto di Statistica, ci sono circa tre milioni di persone che lavorano all’estero ma che risultano ancora residenti nel paese). In pratica si era espressa contro il presidente rumeno una maggioranza “reale” impressionante, che non ha avuto effetti a causa del quorum (non presente nella costituzione rumena) richiesto da Corte Costituzionale ed Ue, come detto irragiungibile.

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Quel voto ha messo a nudo in maniera evidente la debolezza del Presidente rumeno, che da quel momento è stato considerato dalla stragrande maggioranza dei rumeni un governatore imposto dalla Comunità Europea. Persa la sua autorità, la partita delle elezioni politiche è stata in pratica una sconfitta annunciata in cui le uniche incognite sono state le dimensioni della sconfitta.

Le elezioni sono state ricche di insulti da parte dello stesso Presidente rumeno – che aveva interesse ad alzare i toni – e con poche discussioni sui temi più importanti, proprio perché a Ponta è bastato puntare sul fatto che votare per l’Unione Sociale Liberale avrebbe significato sollevare Basescu dal potere. Una campagna elettorale sotto molti aspetti paradossale, in cui mentre Ponta si è limitato a ricordare gli ultimi 8 anni di presidenza Basescu ed suoi i tagli alle pensioni (del 25% anche quelle minime a persone che spesso non arrivavano a 100 euro al mese) ed ai salari e l’opulenza  e la corruzione dei suoi accoliti che si sono succeduti al governo, il Presidente usava conferenze stampa a reti unificate giornalmente nel suo ruolo istituzionale per insultare l’Usl e per far capire che molto difficilmente avrebbe nominato Ponta primo ministro.

In questo contesto si è giovato del ruolo di terza forza il demagogo Dan Diaconescu, proprietario del canale tv OTV ed alleato non ufficiale proprio del presidente rumeno con il PPD (Partito del Popolo) che ha ottenuto il 14% dei consensi, rispetto al 16% dei voti del ARD di Basescu. Dan Diaconescu ha fatto leva su promesse mirabolanti, al punto da apparire quasi ridicole come quella di promettere 20000 euro a persona a tutti i cittadini rumeni dopo essere stato eletto. Diaconescu avrà però difficoltà a gestire il proprio gruppo parlamentare, dal momento che lui stesso non è entrato in Parlamento e che la stragrande maggioranza dei parlamentari eletti non si considera iscritta al partito, avendo pagato sostanziose somme di denaro solo per essere nelle liste. Molti degli eletti del PPD si presuppone si aggregheranno ad altri partiti a secondo delle convenienze.

Il futuro della Romania si presenta adesso ancora complesso malgrado l’ampia maggioranza elettorale e costituzionale di 2/3 in parlamento del USL per la difficile coabitazione con Basescu. L’obiettivo dichiarato di Ponta è quello di modificare velocemente la costituzione per ridurre e fare chiarezza sui poteri che spettano al Presidente, sottraendogli il controllo su Corte Costituzionale, procure e Servizi: bisognerà vedere quanto il Presidente “giocatore” potrà accettarlo.

La nomina del leader socialdemocratico come primo ministro della Romania non è certa ma è molto probabile, dato il rischio concreto di una nuova sospensione del presidente rumeno. Sospensione che questa volta potrebbe essere definitiva in considerazione del fatto che negare un voto così netto non gli permetterebbe di avere l’appoggio delle istituzioni europee, né dei suoi compagni del Partito Popolare Europeo, Barroso, Merkel e Reading.

I prossimi mesi faranno chiarezza, la partita non è chiusa ma questa volta il Presidente “giocatore”  sembra non  avere molti assi nelle maniche.

di Gianluca Dova