Scandinavia tra giacimenti petroliferi ed estrazione di uranio.

Scandinavia: Finlandia

Deficit al 3,5%, disoccupazione al 6,9% (dati di dicembre), all’orizzonte la necessità di una nuova manovra. Come ha ricordato in questi giorni il presidente della Repubblica Sauli Niinistö, l’economia finlandese naviga in acque agitate: i conti pubblici devono essere corretti, c’è bisogno di trovare soluzioni e bisogna farlo in fretta. Tutto nero, a Helsinki? No, perché il Governo tiene.

Al giro di boa della legislatura, l’esecutivo del conservatore Katainen gode ancora della fiducia degli elettori: Partito di Coalizione Nazionale e Socialdemocratici (le due forze principali della maggioranza multicolore che governa il paese) avanzano rispettivamente al 21,9 e al 18,7%. Veri Finlandesi e Partito di Centro (le opposizioni) perdono e scivolano al 17,7 e al 17,1%.

Scandinavia: Svezia

La situazione in Svezia è invece molto più liquida. I sondaggi pubblicati lo scorso fine settimana rimescolano per l’ennesima volta le carte: il blocco delle opposizioni di centrosinistra metterebbe insieme il 44,4% contro il 46 dell’attuale maggioranza.

Ma il problema, per la maggioranza, si chiama Cristiani Democratici e Partito di Centro: entrambi sono sotto la soglia del 4%, vale a dire niente ingresso in Parlamento e conseguente vittoria dell’opposizione. Non una novità per il premier Reinfeldt, che da settimane fa i conti con le crisi che affliggono i suoi alleati e con le automatiche ripercussioni sul Governo.

Se da un lato questa situazione ha giovato ai Moderati (il travaso di voti dal Partito di Centro sembra evidente), dall’altro la coalizione ha finito per trovarsi spesso divisa a causa della ricerca di visibilità – e di consensi – nella quale sono impegnati gli alleati in difficoltà.

Le divisioni vanno dalle strategie contro la disoccupazione ai sussidi statali passando per l’immigrazione. Qualche giorno fa Tobias Billström, che dell’immigrazione è Ministro, ha dichiarato che bisogna trovare il modo di ridurre il numero di stranieri che entrano nel Paese: ci vogliono leggi più severe, chi arriva in Svezia deve essere in grado di badare a sé stesso economicamente.

All’interno dei Moderati, partito di cui Billström fa parte, si sono alzate voci critiche. Stessa cosa nella maggioranza. Erik Ullenhag, Ministro dell’Integrazione ed esponente del Partito Popolare Liberale, ha precisato che il Governo non sta studiando nessuna strategia per stringere i lacci della politica d’asilo e dei ricongiungimenti familiari. Reinfeldt ha confermato. Insomma un piccolo testacoda su un argomento che, hanno svelato i sondaggi, prende sempre di più: nei pensieri degli elettori, in testa ci sono sanità e scuola, l’immigrazione è al sesto posto. L’anno scorso era l’undicesimo.

Scandinavia: Norvegia

In Norvegia i problemi sono altri ma non sono meno seri. È infatti scoppiata (di nuovo) quella che NRK ha ribattezzato ‘Oljekrigen’, la guerra del petrolio. Sul finire della scorsa settimana, dai vertici del partito laburista – principale forza del governo – è arrivato il sì  allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi negli arcipelaghi Lofoten e Vesterålen. Fermamente contrari gli ambientalisti, i pescatori e uno dei tre membri del Governo. Il Partito della Sinistra Socialista che nel proprio programma ha ribadito tra le priorità la salvaguardia degli arcipelaghi nel nord del Paese.

La decisione dei laburisti non sorprende nella sostanza (le probabili ripercussioni positive in termini occupazionali hanno sempre fatto propendere i socialdemocratici per il sì) ma forma e tempistica rappresentano un passaggio importante. Se infatti è vero che nulla di concreto verrà fatto fino alle elezioni di settembre, è altrettanto vero che si tratta di un cambiamento nella linea governativa degli ultimi otto anni, durante i quali l’accordo interno alla maggioranza aveva tenuto fuori Lofoten e Vesterålen dalle operazioni petrolifere. È in pratica un segnale politico.

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Scandinavia: Danimarca

La politica energetica tiene banco anche in Danimarca. Kuupik Kleist, Primo Ministro della Groenlandia, ha annunciato che si andrà al voto il prossimo 12 marzo: quel giorno verrà rinnovato il Parlamento della Groenlandia. E Copenaghen è meno lontana di quanto faccia pensare la geografia.

A Nuuk si vota in un momento delicato: i progetti di sfruttamento delle ingenti risorse minerarie tengono banco. In pole position ci sono le compagnie straniere, cinesi soprattutto. Copenhagen è in ritardo ma ha un ruolo decisivo. Poiché la Groenlandia fa parte del Regno di Danimarca, su molte cose l’ultima parola spetta a Copenhagen.

E non si tratta di dettagli: ad esempio spetta alla Danimarca revocare il bando che impedisce l’estrazione di uranio. Insomma non argomenti di poco conto e infatti in Danimarca le posizioni politiche sono divergenti. C’è però la consapevolezza di avere accumulato un ritardo.

Un mea culpa espresso nelle scorse settimane soprattutto dai conservatori che hanno governato tra il 2001 al 2011: mentre le grandi potenze mondiali stringevano accordi con la Groenlandia per farsi trovare pronte nel momento in cui si potrà cominciare a sfruttare il terreno, Copenhagen è stata a guardare.

Scandinavia: Islanda

Intanto in Islanda Árni Páll Árnason è stato eletto nuovo leader dei socialdemocratici. Prende il posto della attuale premier Jóhanna Sigurðardóttir. L’ex ministro degli Affari economici avrà il compito di guidare i suoi alle elezioni politiche della prossima primavera. Un compito difficilissimo, considerato che gli ultimi sondaggi danni i laburisti tra il 16 e il 12%.