Quel rinvio che non porta a nulla

Rinvio. Subito dopo aver ricevuto l’incarico di Presidente del Consiglio da Giorgio Napolitano, pare che Pierluigi Bersani abbia esclamato ai suoi collaboratori: “questo non è un mandato pieno. Ma sia chiara una cosa: io non esploro un bel nulla!”.

C’è però da dire che indipendentemente dalle aspirazioni personali e nominalistiche del segretario del Partito Democratico questo mandato governativo che ha ricevuto dal Capo dello Stato sta assumendo, come è giusto che sia, la fisionomia di un vero e proprio mandato esplorativo. E dunque come Franco Marini nel traballanti giorni del gennaio 2008 incontrò partiti, Confindustria, Confcommercio e i promotori del referendum elettorale capitanati da professor Giovanni Guzzetta, oggi Bersani è alle prese con sindacati, comuni e forum del Terzo Settore.

Ma il dato che fa più riflettere non è tanto quello che Bersani rigetta il mandato esplorativo (non c’è nulla di male nell’entrare a far parte di un club comprendente tra gli altri Nilde Iotti, Ugo La Malfa e Antonio Maccanico…) ma la tempistica delle sue consultazioni.

Sappiamo tutti che Bersani intende percorrere lo stretto cammino di un asse tra centrosinistra e alcune istanze del Movimento Cinque Stelle. Una strada impervia riconosciuta tale dallo stesso Napolitano. Il Presidente della Repubblica ha dichiarato che la strada più percorribile dal punto di vista numerico sarebbe un governo di grande coalizione. Governo però impossibile da formare a causa di frizioni tra gli schieramenti politici.

Quelle stesse frizioni che il governo Monti sembrava aver oscurato, a causa del sostegno comune di gran parte delle forze politiche al suo esecutivo, e che invece sono riemerse prepotentemente nel corso della campagna elettorale e immediatamente dopo le dimissioni anticipate dell’ex Presidente dell’Università Bocconi. Da qui il mandato a Bersani la persona che “oggettivamente ha più possibilità di formare una maggioranza di governo” disponendo della maggioranza assoluta alla Camera e di quella relativa al Senato.

Più che essere quello con “più possibilità” però Bersani appare come quello con “meno difficoltà”. E molti nel partito di Bersani sono scettici sui risultati pratici che questa sostanziale esplorazione potrà portare. Pierluigi Bersani, così si era stabilito al Colle, avrebbe dovuto riferire al massimo martedì sull’esito delle sue consultazioni. Pare invece che la faccenda si estenderà fino alla giornata di giovedì. E la cosa fa decisamente riflettere.

In primo luogo Bersani, per cercare di ottenere un mandato che non contempli un governo d’unità nazionale, ha evidenziato come nella Prima Repubblica siano esistiti casi di governi di minoranza. Come il primo governo Fanfani nel 1954 (assieme a quello guidato da Goria il governo col presidente del consiglio più giovane della storia della Repubblica) o come il terzo governo Andreotti. Si è dunque rifatto ad una casistica di estrazione democristiana che per quanto istituzionalmente appaia impeccabile dal punto di vista politico risulta essere un rimando quanto mai deludente. Non solo perché non siamo più nella Prima Repubblica ma perché i propositi di vittoria e di governabilità da parte della coalizione Italia Bene Comune erano tutt’altri.

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Tra l’altro non si considera un aspetto assente nel periodo storico dei vari Fanfani e Andreotti tanto cari a Bersani: non si stava vivendo una crisi economica di livello planetario come quella di adesso. Di conseguenza non solo per un ex esponente del Partito Comunista Italiano (che però se ci si pensa ha sempre ottenuto i suoi più grandi consensi personali in ex feudi della Dc come la Campania, la Basilicata e la Calabria) è quanto mai crepuscolare rifarsi al “meglio tirare a campare che tirare le cuoia” di democristiana memoria, ma anche quanto mai antistorico ritenere che in un periodo critico come questo ci si possa permettere governi di minoranza.

Non solo dunque la strada verso Grillo appare tortuosa, ma fa riflettere il fatto che ci si prenda così tanti giorni per cercare fino all’ultimo di ottenere un risultato che già i bookmaker attestano all’1% di praticabilità. In un periodo di crisi come questo non serve infatti solo un governo stabile. Ma anche un governo subito. E quindi le necessità del paese tutto richiederebbe un bagno d’umiltà. E Bersani al più presto (diciamo entro 48 ore) dovrebbe chiarire se ha margini per ottenere il suo risultato o no.

Altrimenti questo procrastinare di continuo la situazione non rischia solo di assumere connotati prettamente antinazionali. Ma anche mediocri. Come quello studente incapace di tradurre in classe la versione di latino che chiede a viva voce, alla sua professoressa, di concedere dieci minuti di tempo in più per ultimare il compito. Cercando in quei pochi secondi di copiare da qualcun altro le frasi che non era stato in grado di tradurre da solo.

Il rinvio dunque non solo come una mossa “antica” e poco consona agli interessi del Paese. Ma anche il rinvio come gesto “mediocre”. E qui non si vuole essere offensivi nei confronti di nessuno. Ma semplicemente constatare che spesso nella vita “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. E siamo certi che Bersani non potrà che apprezzare la citazione.