La Crisi sposta le popolazioni

Colpiti da un fisco che necessita di cassa per provare la solvibilità di uno Stato mal governato per decenni o per coprire i crediti dubbi delle Banche derivanti da acquisti di Titoli delle Nazioni già “incriminate” nella Crisi dell’Eurozona, gli abitanti di Grecia, Spagna, Portogallo e Italia sembrano essere sempre più attratti dalla “virtuosa” Germania. I dati arrivano direttamente dal Goethe Institut, dove stanno affluendo diverse richieste di iscrizioni di europei del sud per imparare la lingua tedesca confermata dall’Ufficio Federale Statistico di Wiesbaden che registra un aumento del 24% rispetto all’anno precedente del numero di immigrati europei nel primo semestre del 2012 arrivati in 306 mila.

I demografi tedeschi sono felici di questa notizia, in quanto la popolazione della Germania era diminuita di circa 800 mila abitanti tra il 2002 e il 2010 e la necessità di nuove giovani menti e braccia è un carburante necessario per il buon funzionamento dell’economia nazionale. Tutti pronti quindi a decantare le lodi della libera circolazione di persone all’interno dell’Unione, a favore della Nazione che più di tutte ha saputo innovarsi nel corso degli anni, grazie a una vera e propria politica di austerity nel periodo di “vacche grasse” con grossi incentivi a ricerca e sviluppo, cifre come queste sono facilmente assorbibili dal mercato del lavoro tedesco, soprattutto perché spesso si tratta di persone tra i 24 e i 40 anni con un livello di preparazione elevato che non trovano lavoro nella Madre Patria a causa della contrazione della domanda interna e di una serie di effetti collaterali derivanti dalle politiche di austerità imposte dalla Troika per salvaguardare il debito pubblico ed evitare il default.

Chiaramente questo flusso migratorio è figlio della Crisi dei Debiti Sovrani, i dati relativi alla disoccupazione in Grecia, Portogallo e Spagna sono spaventosi – l’Italia sembra destinata a imitarli – soprattutto per quanto riguarda i giovani che, più facilmente adattabili e meno vincolati da famiglia o legami particolari, sono pronti a muoversi altrove. Dove se non nella Nazione dove si sente che tutti stanno bene e nessuno ha problemi perché retta e precisa nella gestione delle cose pubbliche?

Oltre a persone con preparazione accademica e scienziati, il flusso riguarda anche una parte di manodopera non qualificata che potrebbe tranquillamente adattarsi a uno stipendio ben inferiore a quello di un tedesco in quanto nettamente superiore a ciò che percepirebbe nella Nazione d’origine, ma nel lungo termine l’effetto potrebbe essere quello di un avvitamento delle posizioni su stipendi malpagati con effetti anche sulle retribuzioni tedesche. In letteratura sono note le casistiche di assunzioni di “minoranze etniche” a costi più bassi, pronte a scendere a livelli tutt’altro che tollerabili dagli autoctoni pur di lavorare e di portare a casa uno stipendio che renda dignitosa la loro esistenza con il risultato che alcune fabbriche preferiscono manodopera straniera rispetto a quella locale. L’integrazione poi è un tema tutt’altro che risolto anche in Germania dove ancora adesso esistono sobborghi delle città letteralmente occupati dai turchi giunti negli anni 80 e 90 del secolo scorso. Ovviamente chi va a vivere in un paese straniero tende ad aggregarsi con propri conterranei, ne è la prova lampante la resistenza di Little Italy a New York che persiste nel mantenere le tradizioni del Belpaese nonostante l’insidia di Chinatown che pian piano sta invadendo i suoi spazi, ma alla fine si tratta di una lotta tra immigrati, tra persone che vanno all’estero per cercare la fortuna che non trovano dove vivono oggi.

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Forse non è del tutto corretto considerare questa notizia come punto di forza del libero scambio di persone e cose all’interno dell’Unione, in quanto di fatti non è un passaggio figlio di un’integrazione europea bensì spinto dalla disperazione di giovani che non trovano lavoro in un caso su due e cercano altrove la legittimazione alla propria esistenza.

Sembra che dal Belpaese il flusso di emigrazione di persone di età compresa tra i 24 e i 40 anni sia aumentato del 30% nell’ultimo anno, accomunando con gli altri Paesi in crisi la principale metà dove andare a cercare la fortuna o semplicemente trovare un lavoro che non si trova più in Italia.

Che la Germania sia scevra dagli effetti della Crisi è una chimera facilmente destrutturabile, la diminuzione della popolazione, demograficamente dimostrabile con la riduzione del numero di figli e l’invecchiamento della popolazione hanno aiutato la diminuzione dell’indice di disoccupazione. Parlando brutalmente, se cala il numero di soggetti occupabili, la disoccupazione scende a parità di occupati, quindi il dato ufficiale del 5,5% nel 2012 è in parte anche mosso da questa dinamica demografica. Resta il fatto che probabilmente l’onda lunga della Crisi finirà con l’investire anche la potente Germania che vede la propria forza nelle esportazioni sia nei confronti di paesi come la Cina, ma anche all’interno dell’Unione verso le Nazioni colpite più duramente dalla Crisi quindi la diminuzione dei consumi porterà sicuramente a un calo della domanda e sul lungo termine potrebbe accadere che tale situazione possa ridurre la capacità di assorbimento del mercato lavorativo tedesco.

Certo che a dover preoccupare è il fenomeno in generale, mentre fino all’inizio del XXI secolo i flussi migratori all’interno della UE era generalmente dettati da esigenze legate al percorso professionale, ora è un altro elemento a spingere le persone a scegliere di vivere in un Paese nuovo e in un tessuto sociale diverso: l’impossibilità di trovare lavoro. Resta un dubbio: nel lungo termine questo effetto spopolerà le Nazioni in crisi a favore delle più “rette”? Quando il mercato del lavoro si saturerà i demografi continuano a cantare le lodi della libera circolazione delle persone?

Ivan Peotta