Il voto in Islanda, i numeri dell’economia svedese, le tensioni a Copenhagen

Meno di giorni separano l’ Islanda dal voto. Le urne saranno aperte il 27 aprile. Sono pronte le liste, sono pronti i partiti. Anche gli ultimi dubbi sono stati sciolti. Il leader del Partito dell’Indipendenza, Bjarni Benediktsson, ci sarà. La scorsa settimana si era diffusa la notizia di un suo possibile passo indietro. Secondo alcuni sondaggi, infatti, la vice del partito, Hanna Birna Kristjánsdóttir, potrebbe condurre i suoi a un risultato elettorale migliore. Bjarni Benediktsson si è preso qualche giorno per riflettere e alla fine ha deciso di non cedere il timone. A questo punto non gli resta altro da fare che convincere gli islandesi a scegliere il suo partito. I sondaggi però non sono confortanti: il Partito dell’Indipendenza oscilla intorno al 19%, un risultato che se trovasse conferma nelle urne sarebbe il peggiore di sempre. Nel 2009 fu 23,7%. Ormai le tendenze delle ultime settimane sembrano consolidate. Rimangono in testa i conservatori del Partito Progressista. Sale il  Partito dei Pirati, regge Futuro Radioso, restano molto bassi i due partiti attualmente al governo, vale a dire l’Alleanza Socialdemocratica e la Sinistra Movimento Verde. Difficile pensare che in soli dieci giorni la coalizione di centrosinistra possa ribaltare una situazione così negativa.

Chi invece di tempo ne ha a sufficienza per ribaltare sondaggi scoraggianti è il governo di centrodestra che guida la Svezia, dove si vota nel 2014. I Moderati del premier Reinfeldt, la principale forza della maggioranza, hanno annunciato per le prossime settimane quella che assomiglia a una ‘campagna di primavera’: battere il paese palmo a palmo, far conoscere agli svedesi i risultati positivi di questi anni di governo e i progetti per i prossimi. Il problema però è che proprio in questi giorni arrivano brutte notizie dall’economia. I numeri, infatti, sono meno positivi di quelli attesi. Il ministro delle Finanze Anders Borg a inizio settimana ha dichiarato: “Abbiamo anni difficili davanti a noi”. Parole chiare che non hanno bisogno di spiegazioni. Secondo Borg l’economia svedese risentirà nel prossimo futuro del vento contrario che soffia in giro per il mondo. C’è dunque da stare in guardia perché il rischio è quello di una ripresa incerta. Le ultime stime di crescita parlano di un +1,2% per quest’anno, +2,2% nel 2014 e +3,6% nel 2015. Rispetto ai numeri di dicembre (quando si pensava a un +3% per il 2014) c’è dunque più pessimismo. Ma a destare preoccupazione è soprattutto il capitolo dei senza lavoro: la disoccupazione infatti pare destinata a crescere. Il picco è previsto per il 2014 (8,3%) mentre nel 2015 i numeri dovrebbero cominciare a scendere (7,4%). Borg ha aggiunto che le finanze pubbliche in buona salute hanno finora consentito di mitigare gli effetti della crisi: in sostanza non cambierà la rotta seguita negli ultimi anni dal governo di centrodestra. Ma l’opposizione ne approfitta per attaccare: “Borg deve assumersi la responsabilità del suo fallimento” ha dichiarato Ulla Andersson, portavoce per la politica economica del Partito della Sinistra.

Al di là delle valutazioni politiche, è un dato di fatto come in tutto il Nord Europa gli effetti della crisi internazionale si facciano sentire. Nulla di paragonabile a quanto accade in Grecia o Spagna (e perché no, anche in Italia) ma considerare la Scandinavia un recinto felice sarebbe sbagliato. I dati sulla disoccupazione sono quelli che più direttamente raccontano le difficoltà del momento, ma non bastano a restituire un quadro esaustivo. In Finlandia, ad esempio, un decimo della popolazione non può permettersi tutti i medicinali di cui avrebbe bisogno a causa della mancanza di denaro.

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Di economia e disoccupazione si discute pure in Danimarca, dove si torna a parlare del ‘Pacchetto crescita’, vale a dire il programma economico e fiscale presentato settimane fa dal governo che tante critiche (soprattutto da sinistra) aveva attirato su di sé.

Le trattative tra l’esecutivo e i partiti di opposizione vanno avanti piano. Partito Popolare Danese e Liberali non hanno interesse a chiudere in fretta grossi accordi col governo preferendo invece far riemergere tutte le distanze che ci sono tra i partiti della maggioranza. Sul finire della scorsa settimana, l’Alleanza Rosso-Verde (che dà un fondamentale appoggio esterno al governo) ha messo sul tavolo le sue proposte per rilanciare l’economia e creare decine di migliaia di posti di lavoro. Il piano ha un costo pari a circa 24 miliardi di corone. La risposta del governo è stata fredda. Per la Sinistra Radicale (secondo partito dell’esecutivo, su posizioni centriste a dispetto del nome) il piano dell’Alleanza Rosso-Verde non è in linea con il programma di governo. Una bocciatura secca, senza appello, che non fa nulla per nascondere l’acceso confronto politico in atto a Copenhagen. Semplificando, si potrebbe dire che l’Alleanza Rosso-Verde vuole tirare l’esecutivo a sinistra, la Sinistra Radicale vuole tirarlo verso il centro. Il vero rischio, però, è che la corda finisca per spezzarsi.