L’ipocrisia della legge elettorale

legge elettoraleCi sono vari argomenti di cui si sente parlare continuamente gli esponenti politici negli ultimi mesi: la crisi economica, gli scandali, le intercettazioni. Di una cosa pero’ siamo certi: non si smetterà mai di parlare della legge elettorale, di come cambiarla e di come “migliorarla”. Il gioco appassiona sempre gli addetti ai lavori, un evergreen buono per tutte le stagioni da elaborare in tutte le salse.

Il combinato disposto di questo fattore col rinnovato interesse verso i referendum, finalmente rivitalizzati dopo 15 anni di agonia e abusi dello strumento, sta diventando una miscela esplosiva che scatena dichiarazioni a raffica un po’ da tutti i partiti politici. Il gioco appassiona tutti perché cambiando la legge elettorale si ha la possibilità di cambiare all’ultimo istante anche l’esito di una partita che sembrava scontata. Il primato della politica direbbe qualcuno, quel sottile gioco nel quale tutti si siedono al tavolo e propongono la loro idea sapendo bene che e’ impossibile che una nuova regola comune possa avvantaggiare tutti e che quindi qualcuno nell’accettare le nuove regole stia facendo male i calcoli. Ma come tutti i giochi di strategia pura chi ha guadagnato e chi ha perso lo si capisce solo dopo e i sondaggi politico elettorali in questi casi non sempre aiutano a capirlo con sufficiente anticipo.

La cosa bizzarra e’ che ora questa legge elettorale la vogliono cambiare tutti, ma proprio tutti…

Premesso che questa legge nata nel 2005 nacque sotto la spinta di una richiesta forte dell’UDC, di cui Cesa era segretario, verso un sistema proporzionale, e che fu frutto di un compromesso nel quale un po’ tutti trovarono buoni motivi per votarla o per non osteggiarla più di tanto malgrado le dichiarazioni di facciata (non si videro certo gli scontri di piazza che videro protagonista Pajetta nel 1953 durante l’approvazione della “legge truffa” voluta da De Gasperi, ma nemmeno una parvenza di ostruzionismo parlamentare, la legge sotto sotto faceva comodo anche al centrosinistra soprattutto per quanto riguarda le preferenze).

Ora è davvero curioso che gli esponenti degli stessi partiti, addirittura gli stessi protagonisti del 2005 rilascino dichiarazioni pesantissime verso la loro stessa creatura, ma vediamo con ordine:

1) Cesa (segretario UDC): “L’Unione di centro sta lavorando a un referendum per modificare la legge elettorale reintroducendo le preferenze e abolendo il premio di maggioranza.”

2) Alfano (segretario PDL): “Berlusconi d’accordo: Legge elettorale da cambiare. L’obiettivo, è ottenere il risultato di candidati non calati dall’alto ma spinti dal basso, per essere rappresentativi dell’intero Paese e dei singoli territori.

3) Fini (leader di FLI): “la sovranità popolare significa che gli elettori e le elettrici devono avere la libertà di scegliere non solo il premier ma anche i parlamentari”

4) Bossi (leader della Lega): “E’ possibile un accordo con le opposizioni sulla riforma della legge elettorale”

 

Insomma nessuno dei protagonisti della vicenda del “porcellum” sembra disposto a difendere ciò che ha invece voluto con forza anche a costo di operare una forzatura rispetto a prassi precedenti. Infatti quando nel 2000 l’Ulivo ipotizzo’ un cambio della legge elettorale a colpi di maggioranza lo sdegno si levo’ alto e vibrante da parte di Berlusconi allora all’opposizione. 5 anni dopo, a parti invertite lo stesso Berlusconi non solo pavento’ l’ipotesi di un cambio di legge elettorale a colpi di maggioranza ma lo mise pure in atto nel giro di pochi giorni e senza quasi resistenza. Segno di un indubitabile primato politico da parte sua, ad onta di tutti coloro che negli anni lo hanno descritto come una specie di caricatura da operetta. La ragione di quella scelta da parte di Berlusconi nasceva dal fatto che nella quota proporzionale, allora valida per l’attribuzione del 25% dei seggi totali, la coalizione di centrodestra prendeva in media circa il 5% in più di voti rispetto al risultato della quota maggioritaria. Spostando quindi il campo di battaglia tutto sul proporzionale ed eliminando la quota maggioritaria Berlusconi, anche secondo i suoi sondaggi elettorali riservati, riduceva drasticamente la forbice tra le due coalizioni. Questo avrebbe dovuto scatenare le ire del centrosinistra che si vedeva scippare o mettere in discussione una vittoria certa alle susseguenti politiche. Ira furibonda che come dicevamo Berlusconi ebbe nel 2000, ma che non si scateno’ affatto nel 2005 a parti invertite, per svariati motivi, e non solo per un carattere più malleabile e incline al compromesso al ribasso da parte degli esponenti del centrosinistra, che pure e’ diventato per moltissimi elettori un luogo comune piuttosto consolidato, una etichetta che questi ultimi faticheranno a scrollarsi di dosso anche perché in gran parte meritata.

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Le ragioni principali del mancato ostruzionismo parlamentare stile PCI del 1953 non furono tanto dovute alle suddette mollezze da parte di chi era cresciuto a te e biscotti nei salotti romani, ma a calcolo e convenienza. Pensarono: “Si è vero, il Senato sarà quasi certamente ingovernabile, ma quando si e’ mai vista una crisi di governo al Senato nella storia della repubblica? (e qui sbagliarono drammaticamente previsione), e poi anche se perdessimo il 5% (cosa che comunque non credevano possibile e invece si verifico’ eccome) i nostri sondaggi riservati ci dicono che abbiamo ancora un certo margine e quindi avremo il premio di maggioranza in ogni caso (questo avvenne anche se per soli 24000 voti)” Non c’era quindi di che allarmarsi, avrebbero comunque vinto alla Camera, secondo i loro sondaggi elettorali riservati, e al Senato sarebbe comunque andata bene perché storicamente era sempre stato un luogo tranquillo.

Ma dove era quindi la convenienza di tutti? Nelle liste bloccate… ufficialmente nessuno lo poteva dire in maniera aperta ma la possibilità che le segreterie decidessero le liste faceva comodo, troppo comodo. I titolari dei collegi sicuri erano diventati quasi ingestibili, tanti piccoli mandarini locali legati al loro elettorato di collegio con una libertà rispetto al partito assolutamente insopportabile da parte di chi reggeva il timone della coalizione. Era un obiettivo per chi controllava le varie correnti di partito (ma anche per chi egemonizzava i partitini) che valeva qualsiasi contropartita, persino il rischiare di perdere il 5% dei voti a favore dell’avversario sembrava ragionevole pur di ottenere l’agognato privilegio di poter scegliere a uno a uno quelli che sarebbero poi stati eletti e far dipendere la loro elezione ed eventuale rielezione dalla fedeltà al gruppo di potere che l’aveva fatti eleggere. La prova definitiva che anche al centrosinistra in fondo questa legge non dispiacesse sta nel fatto che nei due anni di governo successivi non solo l’argomento non e’ mai stato messo all’ordine del giorno, ma non se ne e’ nemmeno parlato nei termini nei quali se ne parla ora. Eppure i difetti di questa legge erano ben noti a tutti sin dall’inizio.

Suona estremamente ipocrita da parte di tutti quindi questa lotta a chi condanna di più questo aspetto della legge elettorale da loro stessi voluta, votata o comunque non osteggiata fino in fondo, ma la domanda che sorge spontanea a questo punto e’: Ma se siete tutti d’accordo nel condannare le liste bloccate perché non fate un emendamento in 5 minuti e cominciate a cambiare almeno questo punto? L’attuale opposizione si e’ sempre dichiarata ufficialmente contraria, l’attuale maggioranza che volle e voto’ questa legge ora la condanna a pieni polmoni.

E che aspettano a cambiarla nella sede naturale ovvero il parlamento?

Perché sprecare tempo e denaro pubblico se sono già’ tutti d’accordo?