La Seconda Guerra Fredda? Il caso Snowden dalla prospettiva cinese

La Seconda Guerra Fredda? Il caso Snowden dalla prospettiva cinese

“Gli Stati Uniti, che hanno a lungo provato a recitare la parte della vittima innocente degli attacchi informatici, sono risultati il maggior criminale della nostra epoca” (Ming Jinwei, giornalista cinese).

“Mentre il governo statunitense difende i propri programmi di sorveglianza, continua ad accusare altri Stati fra cui la Cina di lanciare attacchi informatici. È da mesi che gli USA calunniano l’RPC attribuendole un’attività di sponsorizzazione delle violazioni cibernetiche. Il governo pechinese, vittima degli hacker, ha rigettato tali attacchi mentre era impegnato a difendersi proprio contro questo tipo di reato. La testimonianza di Snowden aggiunge credibilità alle dichiarazioni del Governo cinese” (Liu Dan e Bi Mingxin, giornalisti cinesi).

Si può discutere se sia una spia, un traditore o un eroe, mentre è indubbio che Edward Snowden abbia scombussolato la diplomazia mondiale nel giugno 2013: la sua crisi di coscienza ha incrinato i rapporti fra le grandi potenze, destabilizzando fra gli altri il precario equilibrio sinostatunitense sancito dal vertice del 7-8 giugno scorso (cfr. http://www.termometropolitico.it/52301_cina-ospite-degli-usa-7-8-giugno-vertice-obama-xi-a-palm-springs-california.html). Colui che ha rivelato come l’Agenzia di Sicurezza Nazionale statunitense basi la propria attività sul programma US-984XN (nome in codice “Prism”), consistente nello spionaggio degli utenti di Google, Yahoo!, Facebook, Microsoft, Apple, AOL, Paltalk, YouTube e Skype previo consenso aziendale, il 20 maggio scorso si è rifugiato in un hotel hongkonghese, dove è stato videointervistato dal quotidiano britannico The Guardian (vedi https://www.youtube.com/watch?v=5yB3n9fu-rM), poi ha raggiunto l’area internazionale dell’aeroporto moscovita, ove sta attendendo che la sua richiesta di asilo politico all’Ecuador venga soddisfatta.

Per quanto riguarda la Cina, Snowden ha stimato che essa sia stata vittima di 61mila violazioni effettuate dall’Agenzia di Sicurezza Nazionale statunitense per colpire centinaia di obiettivi tra continente e Hong Kong. Qui i bersagli sarebbero l’Università Cinese di Hong Kong, ufficiali pubblici, aziende e studenti. Intervistato dal South China Morning Post il 12 giugno a Hong Kong, Snowden ha dichiarato che gli USA svolgono intense operazioni di violazione informatica contro la Cina e che egli in persona ha deciso di uscire allo scoperto per denunciare “l’ipocrisia del Governo statunitense, il quale afferma di non spiare infrastrutture civili a differenza dei suoi avversari”. Obiettivi delle violazioni, ha rivelato, sono “le dorsali di rete, soprattutto i grandi router, perché ci danno accesso alle comunicazioni di centinaia di migliaia di computer senza doverli violare tutti”. Come se non bastasse, Snowden dice, il Governo statunitense “ha così tanta paura che ciò si sappia da essere disposto a usare qualsiasi mezzo, come a esempio l’intimidazione diplomatica, per impedire che divenga di dominio pubblico”.

Le ultime rivelazioni di Snowden, del 29 giugno 2013, svelano che gli USA spiano computer e telefoni dei diplomatici degli Stati membri dell’Unione Europea a Washington, New York e Bruxelles. Tale denuncia è in attesa di prove che la convalidino.

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Contesto: la tensione sinostatunitense sulla cibersicurezza

Secondo stime ufficiali elaborate dal Centro di Coordinazione della Risposta Emergenziale della Rete Informatica Nazionale cinese e pubblicate nel marzo scorso, nei primi due mesi di quest’anno il maggiore hacker contro la Cina è stato gli USA: sui 6.747 server esteri che hanno usato malware singoli di tipo Trojan o botnet (reti infette) per colpire quasi 1,9 milioni di mainframe (sistemi centrali) in Cina, 2.194 hanno sede negli Stati Uniti d’America. Questi controllavano 1,287 miliardi di mainframe, che costituivano la fonte primaria di attacchi informatici contro la Cina. Più di 11mila siti-Web cinesi sono stati violati da 5.324 mainframe esteri tra gennaio e febbraio scorsi tramite il metodo backdoor (“della porta sul retro”). Stando ai dati del Centro per la Risposta Emergenziale Informatica Cinese affiliato al ministero dell’Industria e dell’Informatica, il 96% dei siti di phishing (“adescamento”) diretto contro i commercianti elettronici cinesi era installato su server stranieri, il 73,1% dei quali locato negli USA. I portali cinesi di notizie China.com.cn, People.com.cn e Tibet.cn hanno subito attacchi informatici da indirizzi di protocollo-Internet stranieri nei primi due mesi del 2013. In tutto sono 85 i siti-Web di istituzioni pubbliche e aziende violati tra gli scorsi settembre e febbraio. Tra essi, quelli di agenzie governative, un’autorità provinciale ispettiva, una compagnia di assicurazione e una struttura di ricerca virologica. Degli attacchi subiti da detti siti, 39 sono stati registrati da indirizzi di protocollo-Internet interni agli USA. Tra gli scorsi novembre e gennaio l’Archivio Cinese di Dati sulla Vulnerabilità Nazionale ha registrato 5.792 tentativi di violazione informatica provenienti da indirizzi di protocollo-Internet statunitensi. Ciononostante, il Pentagono negli ultimi mesi ha più volte accusato i cinesi di essere loro ad attaccare gli USA.

Fra reciproche accuse e volontà cooperative, si è approdati alle dichiarazioni attribuite a Xi Jinping (习近平), presidente della Repubblica Popolare Cinese, da Yang Jiechi (杨洁篪), Consigliere di Stato cinese, in conclusione del vertice sinostatunitense del 7-8 giugno scorsi in California: secondo Yang, Xi avrebbe detto a Barack Obama, presidente degli Stati Uniti d’America, che la Cina è un fermo sostenitore della cibersicurezza, aggiungendo che il suo Governo prende molto sul serio tale problema. Stando al consigliere, Xi avrebbe definito la Cina una vittima degli attacchi informatici. La Cina e gli USA, Xi avrebbe sostenuto, hanno di fronte sfide comuni nell’àmbito della cibersicurezza, tema sul quale urge rinnovata cooperazione invece che sospetto e frizione. I due Paesi, Yang riporta, avrebbero convenuto sull’opzione di rinforzare il dialogo, la coordinazione e la cooperazione tramite il gruppo di lavoro informatico già consolidato. Le due parti si sarebbero anche impegnate nella promozione dell’istituzione di un sistema gestionale dell’Internet globale che sia democratico e trasparente, da implementare soprattutto attraverso le Nazioni Unite, al fine di realizzare un ciberspazio pacifico, sicuro, aperto e cooperativo. L’agenzia di stampa cinese Xinhua scrive che Obama ha chiesto a Xi di fare di più per prevenire i furti di proprietà intellettuale e di altro tipo commessi dalla Cina ai danni degli USA tramite canali informatici.

Le reazioni cinesi al caso Snowden

Gli esperti pechinesi sostengono che gli USA debbano dare una spiegazione alla Cina sulle loro attività di violazione informatica e comportarsi con maggiore sincerità. Jia Xiudong (贾秀东), ricercatore in Studi statunitensi all’Istituto Cinese di Studi Internazionali, ritiene che le rivelazioni di Snowden pongano Washington in una posizione imbarazzante rispetto a Pechino, avendo mostrato come gli Stati Uniti d’America adottino due pesi e due misure in termini di cibersicurezza, adducendo accuse “ipocritiche e infondate contro la Cina”, invece che “risolvere i problemi attraverso il dialogo”. I giornalisti cinesi Liu Dan e Bi Mingxin ricordano: “Essendo la patria del World Wide Web, gli USA godono di un’ineguagliabile abilità nel lancio di attacchi informatici. L’esercito statunitense ha istituito una significativa forza, che include la 780esima Brigata di Spionaggio Militare, preposta a tale scopo”. La definizione del giornalista Ming Jinwei, che parla degli USA come del “maggior criminale della nostra epoca” è ormai celebre. Riportiamo un altro estratto di quell’articolo di Ming pubblicato il 23 giugno da Xinhua:

Washington deve una spiegazione alla Cina e agli altri Stati che avrebbe spiato. Deve condividere con il mondo la portata e lo scopo dei suoi programmi di violazione. La commedia intorno a Snowden tende a supportare la posizione cinese sull’argomento della cibersicurezza. Sia gli USA sia la Cina sia molti altri Stati sono vittime di violazioni informatiche. Nelle acque inesplorate dell’era di Internet questi Paesi devono sedersi a discutere i propri sospetti. In buona fede, possono persino lavorare per l’istituzione di determinate regole che aiutino a regolamentare le attività su Internet nonché di meccanismi che risolvano le divergenze al verificarsi di frizioni. La palla è nel cortile di Washington. Il Governo statunitense farebbe meglio a muoversi per dissipare le preoccupazioni degli altri Stati.

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Lo stesso giorno Hua Chunying (华春英, f.), portavoce del ministero degli Esteri cinese, dice che la Cina è “molto preoccupata” riguardo agli attacchi informatici perpetrati dalle agenzie governative statunitensi contro la Repubblica Popolare svelati dalle recenti pubblicazioni mediatiche. Nello specifico, il commento della Hua è la risposta a un giornalista che le chiede un’opinione sulle violazioni informatiche subite da operatori telecomunicativi e dall’Università Qinghua (清华, più nota colla vecchia trascrizione “Tsinghua”) di Pechino. I rapporti, la portavoce afferma, “hanno provato ancora una volta come la Cina sia vittima di ciberattacchi, ragion per cui abbiamo già presentato le nostre rimostranze agli Stati Uniti”. Nel ribadire che la Cina è contraria all’uso delle violazioni informatiche, la Hua aggiunge: “Vogliamo rafforzare il dialogo e la cooperazione colla comunità internazionale in uno spirito di mutuo rispetto, al fine di salvaguardare la pace e la sicurezza nel ciberspazio”.

Il 27-28 giugno 2013 a Pechino si tiene il Forum Mondiale per la Pace, occasione in cui esperti divulgano le proprie opinioni sulle questioni relative alla cibersicurezza post-Snowden. Fra gli altri partecipanti, l’ex-ambasciatore statunitense in Cina J. Stapleton Roy sostiene che molti Stati stanno diventando vulnerabili agli attacchi informatici e che tale questione è divenuta una priorità per i governi di numerosi Paesi. Inoltre, continua Roy, la cibersicurezza è una delle maggiori fonti d’irritazione in molti rapporti bilaterali, ledendo la fiducia reciproca e l’amicizia fra le nazioni. Chen Xiaogong (陈小工), membro del Comitato per gli Affari Esteri del Congresso Nazionale del Popolo, descrive il ciberspazio come un nuovo campo di battaglia e avverte che se i Paesi consentono il verificarsi di una corsa agli armamenti informatici, ciò potrebbe causare danni peggiori di quelli di una guerra nucleare. Altri esperti ritengono che, data l’urgenza di contenimento del disordine ciberspaziale e d’istituzione di adeguate norme internazionali, la comunità internazionale sia in grado di raggiungere entrambi gli obiettivi. Alcuni notano come la Cina e gli Stati Uniti, cioè le due maggiori economie mondiali, abbiano posto il problema della cibersicurezza in cima alle loro priorità cooperative, il che sarebbe dimostrato dalla conversazione sull’argomento che si sarebbe tenuta tra Obama e Xi nel vertice californiano del 7-8 giugno scorsi. Non solo: i due Stati avrebbero implementato un gruppo di lavoro specializzato sulla cibersicurezza e deciso di tenere incontri ad alto livello in luglio. Ciononostante, le preoccupazioni di Pechino in séguito alle rivelazioni di Snowden sono gravi. “Gli Stati Uniti – Jia Qingguo (贾庆国), professore di Relazioni internazionali all’Università di Pechino, spiega – vogliono una rapida soluzione al problema e minimizzarne l’influenza negativa sui rapporti colla Cina. Ma il punto è quanto i due Stati riusciranno a progredire tramite il dialogo strategico ed economico previsto per luglio: se faranno passi avanti notevoli, allora l’impatto negativo esercitato dalle rivelazioni di Snowden sui legami bilaterali svanirà in fretta”. Ciò che, secondo gli esperti, Pechino e Washington devono impegnarsi a realizzare è terreni più ampi di cooperazione cibernetica. I due Stati, gli esperti sostengono, hanno molti interessi comuni per quanto concerne la deterrenza degli attacchi informatici agli apparati infrastrutturali, militari e financo nucleari, poiché tali violazioni non sarebbero meno terribili del terrorismo. Sul fronte dei programmi di spionaggio-Internet, gli esperti dicono, ambo le parti necessitano di definire chiari limiti demarcanti l’àmbito degli attacchi rispetto a quello della raccolta informativa. Chen ritiene che la cibersicurezza sia un obiettivo multilaterale piuttosto che bilaterale, irraggiungibile tramite la cooperazione esclusiva sinostatunitense. Pertanto l’esperto suggerisce che le Nazioni Unite e le altre organizzazioni globali siano usate dai vari Stati quali piattaforme per l’implementazione di obiettivi multilaterali in campo cibersicurtario e l’elaborazione di norme ad hoc.

 

Stefano Giovannini