L’importanza di finire in galera (a Monopoly)

“Questa è per Blob”. In televisione, da un quarto di secolo, è questa la frase pronunciata da chi inciampa in una gaffe e conserva un po’ di autoironia e prontezza di risposta. La Rete, invece, non ha bisogno di filmati: se da qualche parte c’è un testo, un’immagine, una frase o un gesto che merita di essere preso di mira, colpisce. Anche se si tratta, per dire, di una serissima lettera di protesta firmata da sette parlamentari italiani e indirizzata all’ambasciatore americano. Oggetto della missiva: Monopoly.

A scanso di equivoci, nessun riferimento a posizioni dominanti illegittime di qualche non meglio precisata azienda. A irritare la pattuglia di rappresentanti del popolo è proprio il caro vecchio gioco da tavolo, che affonda le sue origini negli Stati Uniti di inizio ‘900 ed è un successo planetario a partire dalla metà degli anni ’30.

In Italia, in realtà, l’abbiamo sempre chiamato Monòpoli, con la “i” e con quell’accento innaturale sulla seconda “o”: colpa del regime fascista che aveva imposto alla neonata Editrice Giochi di italianizzare il nome, ma gli italiani amarono talmente tanto quel gioco di strategia economica da imparare presto a pronunciarlo all’inglese e da tramandarne la passione attraverso varie generazioni, cresciute spostando funghetti e tube su un tavoliere e costruendo case e alberghi su Vicolo Stretto e Parco della Vittoria.

Monopoly  proprio come Scarabeo sì è mantenuto sempre popolare, pur restando quasi sempre uguale a se stesso. E la questione di oggi sta proprio lì. Già, perché i deputati del Pd Michele Anzaldi, Marina Berlinghieri, Matteo Biffoni, Lorenza Bonaccorsi, Federico Gelli ed Ernesto Magorno, nonché un insospettabile Luigi Bobba, già serissimo presidente nazionale delle Acli, si sono scagliati contro l’ultimo cambiamento previsto dai produttori della Hasbro: un cambiamento inatteso e (assicurano loro) diseducativo.

Luigi Bobba

Stavolta le tradizionali proprietà immobiliari sono sostituite da pacchetti azionari di grandi multinazionali. Si passa dall’acquisto di immobili alla speculazione in Borsa e inoltre, novità decisamente preoccupante, sarebbe stata abolita la casella della prigione“. Difficile immaginare l’espressione di John R. Phillips, neonominato ambasciatore Usa in Italia, nel leggere che gli si chiede conto delle modifiche di un gioco, anche se qualche partitina a Monopoly (quello originale con la “y”) l’avrà fatta pure lui.

Secondo i deputati Pd, però, motivi per indignarsi il diplomatico li avrebbe tutti: “Mentre la Casa Bianca pone l’accento contro le frodi dei titoli e gli abusi degli strumenti finanziari, il Monopoly torna ad esaltare la turbo economia che ha aperto la crisi finanziaria 2008, con il messaggio diseducativo che, in caso di violazione delle regole, non si viene puniti”. Morale: le autorità americane competenti dovrebbero fare qualcosa o, almeno, far capire che con le nuove regole, a quel gioco, non giocherebbero mai.

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In condizioni normali sfuggirebbe un sorriso (e magari tornerebbe la voglia di farsi una partita), oppure ci si potrebbe chiedere cosa penserebbero quei parlamentari, ad esempio, di chi gioca a Crack!, sorta di parente deleterio di Monopoly in cui i concorrenti devono puntare alla bancarotta, sperperando un milione in borsa, al gioco o in altri improbabili modi.

In tempi di crisi come questi, è anche comprensibile che ci si chieda come, tra tutti i problemi urgenti che affliggono il Paese, sette parlamentari trovino il tempo di occuparsi persino del nuovo Monopoly, quando magari l’Imu, l’Iva e altre questioni richiederebbero più attenzione.

Ma siamo in Italia, vietato dimenticarlo. Così a qualcuno viene in mente che – per caso o no – i sette firmatari sono tutti o quasi renziani della prim’ora e lo fa subito notare: rischia così di aprirsi una lotta tutta interna al Pd, con i sostenitori di Renzi quasi chiamati a difendersi dalle infamanti accuse di giocare ancora a Monopoly alla loro età e di minare così l’immagine del partito.

A coprire le fiamme democratiche, tra l’altro mentre Matteo Renzi è proprio negli Stati Uniti, cerca di provvedere il suo portavoce Marco Agnoletti, affidandosi ovviamente a Twitter: “Aboliamo la battaglia navale: fomenta i guerrafondai! Abolito il gioco dell’ oca: gli animali non si’ sfruttano!

Non si risparmia, naturalmente, Beppe Grillo: le agenzie gli servono la notizia su un piatto d’argento e lui la acchiappa subito da par suo. “Il pdmenoelle si interessa da sempre di giochi di società – scrive sul blog -. Proprietà immobiliari, banche, assicurazioni, imprese pubbliche come le Ferrovie e le Aziende del Gas o dell’Elettricità sono il suo pane quotidiano, da Penati al Monte dei Paschi di Siena. Giocatori professionisti. Nessuno può mettere in discussione l’esperienza accumulata dai post-democristicomunisti dal dopoguerra. Per i monopoli hanno un talento naturale. Quindi, forti di questa autorità, hanno scritto all’ambasciatore degli Stati Uniti per chiedere conto dei cambiamenti nel Monopoli”.

L’abolizione della sanzione del carcere, almeno nel gioco, attira l’attenzione del leader 5 Stelle: “I pdimenoellini non hanno tutti i torti, come si può eliminare la casella della prigione senza consultarli? Loro che hanno votato l’indulto, l’eliminazione del falso in bilancio, le prescrizioni di ogni forma e colore. Senza il pdmenoelle le carceri italiane strariperebbero di politici e colletti bianchi.  Al posto della Prigione, a scelta, la Grazia, l’Impunità, l’Agibilità Politica, l’Immunità, la Prescrizione, la Cancellazione del reato, il Ricorso alla Corte Costituzionale, il Vizio di Forma, la Clemenza”.

Sarebbe questo, insomma, il tratto caratteristico della via italiana al Monopoli, con tanto di prima regola del gioco: “Il politico in Prigione non ci finisce mai“. Così ha più tempo di starsene a casa, magari per farsi stracciare dagli amici a Monopoly.