Amato, i volti di un participio (non) passato

A giudicarlo secondo i crismi della grammatica, si dovrebbe chiamare in causa il participio passato del verbo “amare”. Eppure – ci si perdoni il gioco di parole – non si può certo dire che Giuliano Amato sia particolarmente “amato” da un consistente spettro di forze politiche attualmente in Parlamento.

Tra i primi ad aprire il fuoco dopo la nomina a giudice costituzionale di Amato, leghisti come l’eurodeputato Matteo Salvini (“Napolitano ha proprio rotto le palle – ha dichiarato oggi – ormai ha centoventi anni e dopo la nomina dei 4 senatori a vita ci mancava la vicenda di Giuliano Amato alla Corte Costituzionale. Queste nomine sono un insulto alle persone che non hanno un lavoro e che sono in difficoltà”).

Altre carinerie arrivano soprattutto dal MoVimento 5 Stelle: come la Lega, se la prende con il Capo dello Stato ancor più che con il nuovo giudice costituzionale. “Amato, il peggio della politica, l’incarnazione del male assoluto, l’uomo di fiducia dei poteri forti e della casta, collezionista di poltrone, soldi e incarichi” scrive oggi su Facebook il deputato abruzzese Gianluca Vacca, che paragona Napolitano a Vittorio Emanuele III, perché avrebbe di fatto consegnato l’italia a Berlusconi, come il re a Mussolini.

Certo, c’è anche chi difende Amato, senza lesinare violenza verbale: il primato va a Giuliano Cazzola, ora in Scelta civica ma con un lungo passato nell’area socialista della Cgil. “Come si permette di insultare Amato un branco di cialtroni – dice in attacco al M5S – ignoranti di storia patria, indeboliti dalle masturbazioni via web e divenuti parlamentari per una beffa del destino? Sanno chi è e che cosa ha fatto Amato, peraltro pensionato d’oro né più né meno del loro beniamino Stefano Rodotà? Il nuovo giudice costituzionale è prima di tutto un insigne giurista, un costituzionalista sui cui libri si sono misurati decine di migliaia di studenti”.

Certamente Cazzola, a modo suo, ha centrato il nucleo del problema o, almeno, una sua parte. Da una parte c’è la competenza indiscussa e indiscutibile di Amato sul piano giuridico: ha insegnato e insegna tuttora Diritto costituzionale comparato, scrivendo vari volumi (assieme, tra l’altro, ad Augusto Barbera, docente e parlamentare in quota Pci). La vicepresidenza della Convenzione europea (per ripensare l’architettura istituzionale Ue) e altri incarichi sono legati alla stessa competenza.

Tutto questo, peraltro, non cancella altri volti di Amato. Dal prelievo forzoso dai conti correnti del 1992 alla svalutazione della lira, prima ancora la sua lunga presenza nei governi Craxi, Goria e De Mita, non sono pochi a sottolineare una certa contiguità a quella classe politica responsabile di un dissesto economico e finanziario del Paese.

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Non giova al nuovo giudice costituzionale nemmeno il fatto che la nomina sia arrivata dopo la sua duplice esclusione dalla corsa per il Quirinale prima e per Palazzo Chigi poi (più di qualcuno ha l’impressione che si sia trattato di una sorta di risarcimento).

Il fatto che ad apprezzare molto la nomina, oltre a vari esponenti del Pd, ci siano nomi importanti del Pdl (quelli dal passato socialista come Cicchitto ma anche ex Dc come Fitto) fa temere possibili pronunciamenti della Consulta in senso favorevole a Berlusconi. Il quale, peraltro, aveva espresso la sua irritazione per una Corte tuttora spostata troppo a sinistra.

Negli ultimi anni, peraltro, Amato ha fatto notizia soprattutto per i numeri. Quelli degli incarichi che ha sommato nel tempo (dalla presidenza dell’Antitrust fino alla consulenza, su incarico di Mario Monti, sulla regolazione e sul finanziamento di partiti e sindacati) e quelli della pensione che tuttora percepirebbe: nel 2011 lui stesso aveva dichiarato di ricevere, al netto delle imposte, circa 11mila euro al mese.

Amato non è certo l’unico “pensionato d’oro”, come ha ricordato Cazzola alludendo a Rodotà, e certamente la nomina a giudice costituzionale riconosce il suo merito. E’ altrettanto vero, però, che calmierando lo stipendio e la pensione di questi signori si ricaverebbero risorse utili a ricompensare chi, finora, non è riuscito a farsi riconoscere il proprio, di merito.