I destini incrociati di Maroni e Bossi

maroni e bossi

Maroni è a un passo dal lasciare. Il suo addio al Carroccio sembra oramai cosa definitiva. La rottura con Bossi certa. E’ solo questione di tempo. E del resto l’ex ministro dell’interno si è preso una pausa di riflessione. E si profila per lui una candidatura di rilievo nel caso lasci il Carroccio. Tutto ciò per riflettere. E per capire realmente se la cosa più giusta per lui sia proprio quella di lasciare la Lega Nord.

Queste poche righe possono sembrare prospettive. O un esercizio di fantapolitica. Ma in realtà è storia. E’ ciò che è realmente già avvenuto nel corso della vicenda politica di Roberto Maroni.

Correva l’anno 1995. E da poco era caduto il primo governo Berlusconi.

A determinare quella caduta fu, come è noto, la Lega Nord. Ma non è questa la sede per analizzare i motivi di quello strappo che formalmente avvenne per motivi di carattere “governativo” ma che sostanzialmente era il frutto di molte incertezze sul futuro elettorale del Carroccio dopo l’improvvisa discesa in campo dell’uomo di Arcore.

Accadde però che una parte della Lega Nord decise di rimanere fedele all’esecutivo guidato da Berlusconi e diede vita ad una nuova formazione politica denominata Lega Italiana Federalista.

Un movimento politico che nel periodo del governo Dini restò fedelmente accanto a Berlusconi e a ciò che restava del Polo della Libertà (Forza Italia, An e Ccd. L’Udc di Biondi e Costa ormai era diventata una costola di Fi).

In quella fase politica Roberto Maroni visse dei momenti non facili. Non solo dal punto di vista esclusivamente politico.

Ricordiamo che allora Maroni non era solo il ministro dell’interno di quello stesso governo che il suo partito aveva deciso di sfiduciare. Ma era il vicepremier, con Tatarella, di quell’esecutivo, il massimo rappresentante del Carroccio nella compagine governativa. Una scelta, quella dei due vicepremier, che aveva portato rispettivamente Bossi e Fini a scegliere di non entrare a far parte della squadra di governo e di delegare di conseguenza l’incarico di vice di Berlusconi a Tatarella per i missini e a Maroni per la Lega Nord.

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In questa situazione Maroni non apparve molto convinto delle scelte bossiane. Si creò un motivo d’attrito tra il Senatùr e il giovane titolare del Viminale. Maroni rimase in mezzo al guado mentre si consumava una scissione dalla Lega e la nascita della nuova Lega “lealista”.

La Lega Italiana Federalista (che oggi perlopiù è ricordata per la sua incomprensibile voce su Wikipedia) cogliendo i tentennamenti maroniani, propose la leadership del movimento proprio al varesino e la sua candidatura alla guida della regione Lombardia.

Il tutto in un’ottica secondo cui, essendo la Lega Italiana Federalista alleata del centrodestra, Maroni, se accompagnato da un buon lavoro di intermediazione, poteva assumere il ruolo del candidato del Polo per il Pirellone. E si consideri che in quella fase non era ancora nato il “regno” formigoniano delle giunte regionali lombarde. E del resto lo stesso Formigoni allora si trovava non ancora in Forza Italia ma nel Cdu, e di conseguenza a livello partitico in una situazione non molto dissimile da quella di Maroni.

Bobo decise di ritirarsi. Di riflettere. E di fatto non solo si sospese per un anno dalla Lega ma dalla politica. Sempre più rare furono le sue apparizioni televisive e non.

Un attrito tra Bossi e Maroni che vedeva quest’ultimo a capo di quella frangia della Lega più vicina alla istanze berlusconiane o comunque meno favorevole ad una drastica rottura con il Polo.

Oggi lo scenario è a tratti simile, ma a parti invertite. E così Maroni ricorda come la Lega Nord può emergere, e affermarsi, se va da sola. Se ritrova lo slancio e le aspirazioni delle origini. All’insegna di quegli ideali di “onestà e serietà” che lo conquistarono negli anni ’80.

Mentre Bossi, che anziché porsi al di sopra delle parti sta di fatto parteggiando per una componente interna al Carroccio, appare di più come il filo-berlusconiano di via Bellerio. Che, nonostante le differenti scelte sul governo Monti, non esita a cercare di salvare Nicola Cosentino dai suoi problemi giudiziari.

Bobo e Umberto. Due destini incrociati. Ma questa volta i corsi e ricorsi storici funzionano a parti invertite.