Disoccupazione in aumento: perchè nel lavoro l’Italia si avvicina a Spagna e Grecia

Come a un’elezione in cui tutti dichiarano di avere vinto, anche per gli ultimi dati sull’occupazione si è scatenata la polemica tra ottimisti e pessimisti, tra chi vede il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Il punto è il lato da cui si vogliono guardare i dati.

Così se dal ministero del lavoro si è fatto notare l’aumento dell’occupazione in valore assoluto nel terzo trimestre 2014, sia per gli uomini che per le donne, per la prima volta dal 2011, dai dati si evince anche a ottobre 2014 un aumento deciso del tasso di disoccupazione che tocca il 13,2% degli attivi.

Vediamo i dati sugli aumenti e le diminuzioni degli occupati, divisi per sesso e per tipologia di contratto:

I dati non stupiscono, l’occupazione a termine e quella femminile cresce più o decresce meno di quella permanente e maschile. E nell’ultimo trimestre c’è stata una positiva inversione di tendenza.

Tuttavia se vogliamo guardare i valori mensilmente e dell’indicatore che più ci preme, l’occupazione effettiva, vediamo che questa è sostanzialmente stabile da un anno:

E tuttavia la disoccupazione risulta in aumento, soprattutto da giugno, come si osserva dal seguente grafico, sempre dell’ISTAT :

Come può accadere questo? Cioè che l’occupazione rimanga stabile ma la disoccupazione salga? Ricordiamo che il tasso di disoccupazione è costituito dal numero di coloro che cercano lavoro e non lo trovano sul totale degli attivi, delle forze lavoro. Quest’ultima grandezza non è costante, poiché vi è anche un numero, in Italia sempre elevato, di persone che non rientrano nelle forze di lavoro, pensionati prima dei 65 anni, invalidi, casalinghe, giovani che studiano, o semplicemente persone che non lavorano e non cercano un lavoro.

Ecco, vediamo che nell’ultimo anno il numero degli inattivi però è diminuito:

Più persone sono diventate attive, e però non trovando un lavoro sono rientrati nel mondo della disoccupazione. Uno schema per valori assoluti rende chiara l’idea:

Nell’ultimo anno vi sono stati 365 mila inattivi in meno, e di fatto la grande maggioranza, 286 mila, sono diventati disoccupati, mentre gli altri probabilmente sono semplicemente usciti dal blocco 15-54 anni per pensionamento o calo demografico.

Quello cui stiamo assistendo è un parziale riequilibrio da una situazione di anomalia che ha sempre visto l’Italia avere tassi di inattività da record in Europa.

Lo vediamo nella seguente mappa dell’ufficio di statistica ungherese:

 

L’Italia è il Paese europeo con il tasso di attività più basso, si va dal 50% al 72%, mentre in Spagna non si va sotto il 69%, nelle Asturie. In particolare il Sud con Campania, Calabria e Sicilia è un buco nero continentale, con il 50% delle persone che non solo non lavora ma neanche ne cerca uno.

E sappiamo come sia il tasso di attività femminile a essere quella che presenta i gap maggiori, lo vediamo da una mappa dalla stessa fonte:

 

Se in Italia si scende al 35% della Sicilia in Grecia non si va più in basso del 52% dell’Epiro e in Spagna al 65% dell’Andalusia.

Questo è un gap che sicuramente ha molte ragioni strutturali come la presenza di lavoro nero, legato alla criminalità organizzata,  e questo è vero sia per uomini che per donne, e fattori culturali però presenti in fondo anche negli altri Paesi mediterranei.

In particolare dove il tasso di attività italiano è stato più basso della media europea, in quali segmenti? Sicuramente tra i giovani, il fenomeno NEET (not in education, empolyment, training), ovvero tutti coloro che non lavorano nè ne cercano uno, nè studiano, parla italiano e questo grafico lo testimonia

Più del 20% in Italia, contro il 6% della Germania o dei Paesi Bassi, più anche del 20% della Grecia e o del 18% della Spagna.

Naturalmente anche in questo caso la maggior parte dei NEET è concentrata nelle regioni meridionali, ed è collegata, oltra che alla mancanza di lavoro, ai bassi tassi di frequentazione dell’università in Italia e a quelli alti di abbandono scolastico, in cui il nostro Paese primeggia in Europa. Lo vediamo di seguito:

E’ evidente che anche il Nord non è messo molto bene in raporto al resto d’Europa.

Vi è un altro settore che finora aveva contribuito in modo deciso ai bassi valori del tasso di attività in Italia, ovvero gli ultra 55enni. Sono sempre stati meno della media europea sia i lavoratori sia coloro che un lavoro lo cercavano in questa fascia d’età. Di seguito vediamo il confronto in quanto a occupazione dei lavoratori anziani:

Questa situazione, che in un certo senso aveva attenuato nell’apparenza l’impatto della disoccupazione in Italia, è destinata ridimensionarsi molto.

Da un lato la riforma Fornero che ritarda la pensione, anche di coloro che si sono trovati senza un lavoro e sempre meno hanno a disposizione scivoli, e che a differenza che in passato, quindi, sono costretti a cercarlo rientrando tra gli attivi.

Dall’altro giovani e donne che per cambiamenti culturali in atto da molto, ma accelerati dalla crisi, non possono più rimanere a casa ma sono costretti a mettersi sul mercato.

Questa diminuzione del numero degli inattivi di per sè è giusta e salutare, e appunto ci avvicina al resto d’Europa, tuttavia almeno all’inizio l’effetto non sarà positivo sulle cifre, sarà inevitabile un aumento del tasso di disoccupazione, anche per la fine della cassa integrazione, altra peculiarità italica, che per molti significherà la perdita del posto, e ci avvicineremo, anche se magari senza raggiungerli, ai livelli di disoccupazione di tipo spagnolo.

Tuttavia ciò è inevitabile, non si può costruire crescita nel lungo periodo con tassi di attività così bassi, che distorcono tra l’altro il mercato e il costo del lavoro, e hanno un costo opportunità determinato dal non poter usufruire di una offerta di lavoro più variegata (per quanto spesso poco competitiva) e un adeguamento alla media europea era ineludibile. Non sarà indolore per i titoli dei giornali e per le statistiche, ma sarà necessario per la nostra economia.