Le grandi divisioni dell’Europa sull’occupazione, che aumenta solo per i 55-64enni

Di Europa non ce n’è una sola, nonostante gli sforzi di una sempre maggiore integrazione. E negli anni della crisi se ne sono formate molte. Tra le mille faglie di divisione c’è l’occupazione. Ovvero il numero di persone occupate tra i 20 e i 64 anni.

Innanzitutto è apprezzabile il fatto che Eurostat misuri l’occupazione partendo dai 20 anni e non anacronisticamente dai 15 anni come in Italia.

Le cifre del 2013 comunque sono impietose per il Sud Europa, Italia compresa, lo vediamo in questa mappa:

Vi sono 20 punti percentuali di differenza tra Svezia e Italia, poco meno di 80% di occupati contro poco meno del 60%.Siamo tuttavia anche 10 punti sotto la Francia, per non parlare del resto della Scandinavia e della Germania (-18 punti)

La Grecia ha raggiunto la Turchia al 53%.

Certo, rispetto ad altri Paesi dell’Est anche con reddito inferiore di Italia e Spagna ma occupazione superiore, le ragioni di tale bassa occupazione sono anche culturali, l’occupazione femminile non è data per scontata, molti giovani sono mantenuti dalle famiglie, certamente più che nel Nord Europa. E tuttavia è stata la crisi la principale causa di tali statistiche, e le risposte errate alla crisi stessa.

Lo vediamo chiaramente dall’andamento dell’occupazione negli ultimi 10 anni e più:

Paesi come Spagna, Grecia e Italia fino al 2007 stavano aumentando il proprio livello di occupazione, a velocità anche superiore di Regno Unito e Francia, per esempio. In particolare la Spagna aveva visto aumenti poderosi, a ritmi tedeschi e aveva praticamente raggiunto i livelli di occupazione francesi, staccando l’Italia.

La crisi ha provocato un crollo soprattutto in Spagna, dove si trattava di una occupazione legata alla bolla edilizia e creditizia, e in Grecia, dove sono stati erosi anche posti di lavoro considerati sicuri, come quelli pubblici.

Questi due Paesi sono scivolati a livelli di occupazione di molto inferiori a quelli italiani, mentre l’Italia ha perso relativamente poco, nel caso del nostro Paese sembra purtroppo che il livello così basso di occupazione sia strutturale, del resto siamo il Paese con più lavoro nero, con minore occupazione femminile, e l’unico tra quelli in crisi che ha visto un aumento dei salari reali e del costo del lavoro.

L’Italia è anche tra i Paesi che hanno avuto il maggiore aumento dell’occupazione tra i 55 e i 64 anni, dato comune a tutta Europa, tranne l’Inghilterra, dove il tasso era già altro e Grecia e Spagna dove è calata l’occupazione anche per questo segmento, ma in modo meno netto del calo generale:

L’aumento dell’età pensionabile e le leggi sul lavoro asimmetriche, sbilanciate sulla protezione del posto di lavoro a tempo indeterminato, quello quasi totalmente prevalente tra i lavoratori più anziani, sono tra i motivi di questo trend.

Nella seguente mappa vediamo i tassi di occupazione dei 55-64enni:

L’Italia qui non è così in fondo alla classifica, gli altri Paesi mediterranei e dell’Est Europa fanno peggio e  la differenza con la Francia è di pochi punti, ma aumenta quella con la Germania e i Paesi del Nord Europa, anche di più di 20 punti. Si sentono gli effetti qui non solo della crisi ma di decenni di politiche pensionistiche e di una impostazione culturale profondamente diverse.

Non abbiamo i dati sull’occupazione degli under 35, ma si possono intuire avendo i dati dei più anziani e quelli totali, e si capisce che sono coloro che più hanno sofferto la crisi, con crolli dell’occupazione.

Ancora una volta questi dati sono la plastica rappresentazione delle diverse politiche attuate, che nel Nord Europa hanno sempre mirato all‘allargamento del numero dei lavoratori, e nel Sud finora alla salvaguardia della minoranza di lavoratori garantiti, e del loro redddito (si vedano i famosi 80€ in più al mese).

I dati su disoccupazione, occupazione e crescita ci dicono in modo chiaro quale sia l’impostazione più giusta.