Le ipotesi per la spending review mettono in allarme i sindacati

Le ipotesi per la spending review mettono in allarme i sindacati

 

Impazzano le ipotesi per la spending review. In questi giorni il tema è all’ordine dei giorni, ed ha già trovato le dure reazioni della Camusso e l’avvertimento di Bersani. “Tagliare la spesa” è infatti bello a parole, ma nei fatti non è indolore, perché nella spesa pubblica sono contemplati gli stipendi dei dipendenti e i servizi alle persone.

“Bisogna fare presto” è l’imperativo che viene ripetuto come un mantra da nove mesi a questa parte, ed oggi il sottosegretario Polillo – sempre prodigo di consigli e proposte innovative – ha aggiunto un disarmante “siamo disperati, non sappiamo più dove andare a prendere i soldi”, che è un bel biglietto da visita da presentare al vertice europeo di questa settimana.

Il grido d’allarme del sottosegretario si riferisce in effetti alla gragnuola di critiche – preventive e non – che stanno piovendo sul governo soprattutto dal versante sinistro della politica italiana, preoccupata delle ripercussioni che talune ricette di spending review potranno avere sul proprio elettorato di riferimento, operazioni che secondo Pd e Cgil dovrebbero essere sostituite dalla patrimoniale sui redditi più alti.

Vediamo intanto di cosa si sta parlando in questi giorni, quali sono le proposte sul tavolo.

Le province, innanzitutto. Sul tema ormai si sfiora il ridicolo. Nel 2008 tanto Veltroni quanto Berlusconi avevano promesso di cancellarle, vecchi ricordi di uno Stato in stile napoleonico, ormai inutili e fonti di spreco di denaro pubblico. Poi ancora, varie proposte di ridimensionarne il numero, i compiti, i costi. Nulla. Anche perché i risparmi ottenibili sarebbero poca cosa. All’arrivo del Governo Monti, almeno un obiettivo è stato colto, sono divenute – stanno divenendo, con calma – organismi di secondo livello (ovvero in cui i rappresentanti del popolo sono eletti indirettamente). Ora si parla nuovamente di accorparle o farle sparire. Secondo il progetto di Patroni Griffi, vi sarebbero tre parametri di cui almeno due da rispettare per continuare ad esistere: numero di comuni non inferiore a 50, estensione di almeno 3mila chilometri quadrati e 350mila abitanti. Per dire, in Toscana rimarrebbe solo Firenze: necessario dunque mettere da parte rivalità storiche o scegliersi nuovi soci (ove possibile), pur di mantenere i privilegi associati allo status di provincia.

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Poi la proposta di rivedere i buoni pasto dei dipendenti della Pa. I buoni pasto altro non sono che una parte della retribuzione del lavoratore dipendente, che godono di una condizione di favore dal punto di vista fiscale: sono esentasse fino ai 5,29 euro. La proposta sarebbe di tagliare fino a quel livello il valore dei ticket, ottenendo un risparmio- si calcola – di circa 10 milioni di euro. “Togliere il pane di bocca ai lavoratori” (secondo l’espressione di Anseb, l’associazione degli emettitori di buoni pasto) avrebbe però un effetto deprimente sui consumi – si sa che in gran parte i buoni sono usati per la spesa delle famiglie – e colpirebbe un metodo di pagamento perfettamente tracciabile.

Infine la sanità. Il super-commissario Bondi (uno che di risanamenti se ne intende, almeno di quelli aziendali) promette che da parte sua non si parlerà di tagli, ma di razionalizzazione della spesa per gli acquisti dei farmaci e dei servizi. Sul chi va là restano però i sindacati, che temono il blocco degli stipendi e tagli ai servizi.

Per quanto riguarda invece il tetto alle cosiddette “pensioni d’oro”, invece, ci sarà ancora da aspettare…