Ipsos, Pd al 28,5%. Renzi fa il pieno di voti fra i moderati

Meno avvezzo agli scandali, con un partito riformista che per la prima volta da mesi si avvicina all’obiettivo del 30%, malgrado un dibattito sulle regole delle primarie poco appassionante per gli italiani. È questo il fermo immagine che si ricava dallo studio di Ipsos divulgato nella puntata di stasera di Ballarò sul centrosinistra.

Questa settimana l’istituto di sondaggi diretto da Nando Pagnoncelli si è cimentato in un’analisi più articolata della realtà politica e sociale in relazione all’incessante recessione economica, alle ripercussioni sul formato di governo nella prossima legislatura. Un focus particolare è stato dedicato alle primarie non dando stavolta le cifre del consenso dei singoli candidati, ma chiedendo agli elettori di scegliere quale dei leader in corsa sia il più idoneo a “dare la linea” al prossimo governo.

I risultati confermano molte analisi sulla presa nell’elettorato moderato del rottamatore Matteo Renzi. È lui il preferito dagli italiani con quasi il 31% delle preferenze, contro il 22% di Bersani, il 10% assegnato a Di Pietro e il 7% a Vendola. I rapporti di forza sull’intero campione elettorale si ribaltano isolando i pareri degli elettori di Pd e Sel. Ben il 65% di questi sostenitori indicherebbe l’attuale segretario Pd come il più idoneo a dettare l’agenda governativa a partire dal 2013.

Che piaccia Renzi a destra, vale a dire che abbia magnetismo sui moderati si sta rivelando ad ogni modo un valore aggiunto per la ditta. Il Partito Democratico a campagna elettorale interna oramai aperta per la premiership vede le sue quotazioni salire fino al 28,5%. Effetto dell’entusiasmo che in queste settimane sta coinvolgendo l’elettorato di centrosinistra – al quale si sta aggregando una porzione cospicua di delusi ex berlusconiani – con l’iniziativa mediatica presa da metà settembre dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi e da sabato scorso anche dal governatore della Puglia, Nichi Vendola. Ancora presto per valutare la ripercussione diretta sull’andamento del consenso di Sel, che si tiene ben al di sotto dell’appeal del suo leader al 5,6%. D’altro canto, la competizione interna fra le due grandi anime democrat, quella affine al sindaco-rottamatore e quella fedele al segretario Pierluigi Bersani sta portando al Pd un beneficio in termini di intenzioni di voto.

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Un effetto pressoché nullo, invece, lo sta avendo il dibattito attorno alle regole della consultazione. Gli italiani staranno pur tornando a interessarsi alla cosa pubblica col duello interno ai progressisti, ma non ne vogliono sentir parlare di doppio turno, di preregistrazione o di albo degli elettori. Solo il 29% degli intervistati – su un campione di 1.000 persone – ritiene questa dissertazione un esercizio di democrazia, mentre il 52% semplicemente è annoiato.

Molto più confortante per il segretario e il suo competitor diretto sapere che il Pd viene segnalato dagli italiani il partito più in salute presente in Italia: ne ha questa impressione il 22% degli elettori. Più marginale la quota di chi lo ritiene ad oggi in crisi, circa il 5%. in questo si nota la distinzione marcata col Pdl, che all’estremo opposto viene ritenuto il grande malato del sistema partitico. Ma si nota anche la differenza col Movimento 5 Stelle, che riassume in sé l’immagine di una forza monolitica capace di generare solo pareri unanimi sulla sua solidità.

Dal corso del centrodestra il Pd e la galassia di formazioni, che ruotano attorno al centrosinistra sono separati anche dal fattore scandali. Col Laziogate appena uscito dalle prime pagine il sentimento generalizzato di antipolitica si è rinfocolato. Ed oggi il 55% del campione ritiene che i politici di qualsiasi estrazione sono toccati dagli scandali della mala-amministrazione o – in certi casi – della malversazione di denaro pubblico. Il segmento restante di opinione pubblica, però, ha bene in mente quali siano le proporzioni degli scandali e attribuiscono la colpa al centrodestra nel 10% dei casi contro l’1% degli eletti di sinistra.