Ucraina, tra Stato e società patriarcale

ucraina e patriarcalismo

Decine e decine di libri, articoli, studi, sono stati scritti e condotti sul cosiddetto patriarcalismo di stato. Qualsiasi pubblicazione si occupasse dello spazio ex(post)sovietico ha raccontato l’esasperazione di un welfare capace di provvedere e programmare l’intera esistenza di ogni individuo. Il battesimo statale avveniva, all’età di sei-sette anni, attraverso l’iscrizione al braccio giovanile dell’organizzazione, il Little Octoberist, proseguiva con una militanza negli Young Pioneers al compimento dei nove anni ed ininterrottamente interessava la fase produttiva della vita per terminare con la dovuta pensione congedante l’individuo solo al momento del decesso. La portata di tal evento era facilmente deducibile: una totale de-responsabilizzazione degli individui e una loro dipendenza dagli erogatori di prebende. De-responsabilizzazione che, esasperandosi lungo le tappe appena descritte, conduceva l’individuo a delegare, infine, anche i propri diritti-doveri di partecipazione alla sfera pubblica ed alla vita politica del Paese, con immenso tripudio degli erogatori. Il gioco valeva la candela. I costi di un welfare pressoché universale venivano infatti ampiamente recuperati dal profitto a cui ogni governante aspira: la piena disposizione del proprio popolo.

Nel lontano inizio degli anni90 l’alternativa sovietica finì, però, in frantumi. I programmi intrapresi dalle nuove repubbliche indipendenti, e sospinti da chi realizzava la nuova opportunità apertasi ad est, iniziavano così i loro tentativi riformatori per cambiare un sistema che, con il passare degli anni, non sembrava più conciliarsi con la pianificazione quinquennale e il welfare universale tipico del modello sovietico. Si era arrivati, insomma, al libero mercato, seppur in salsa post-sovietica. Il problema che sorse in quel momento fu il seguente: la volontà e la disponibilità di allineare gli apparati normativi ed istituzionali alle caratteristiche del nuovo sistema le si ha, disponiamo anche degli individui, di una società, adatta a permettere un corretto funzionamento del sistema?

Al riecheggiare della domanda nei salotti della nuova-vecchia élite, ecco che, come per magia, il fattore D, ossia la de-responsabilizzazione perpetrata lungo i decenni dal modello sovietico, aleggiava minacciosamente sul cambiamento. Una breve conversazione vale per interi decenni. Qualche settimana fa mi sono recato presso l’Ufficio Immigrazione al fine di presentare la mia domanda di residenza temporanea.

Giunto allo sportello mi imbatto nell’impersonificazione del fattore D. Dopo aver consegnato le carte richiestemi, chiedo la cortesia di notificarmi la prima data utile per il ritiro. Il burocrate si esprime a riguardo come segue:“Dal fisso dell’ufficio possiamo solo operare chiamate verso altri fissi, avendo tu solo un cellulare, non saprei proprio come farti sapere quando i documenti saranno pronti”. Sì, perché purtroppo la società non è né una norma né un’istituzione modificabile attraverso cambiamenti cartacei, legislativi. La velocità con cui si passa da una democrazia ad una dittatura non è termine temporale proprio dei cambiamenti sociali. Quando i modelli proposti e radicatisi all’interno della società assumono valore di norma e costume sociale, niente può essere cambiato dalla notte al giorno attraverso una revisione legislativa. È necessario tempo affinché i nuovi modelli, accompagnati da una puntuale educazione, possano replicare, sostituire, ciò che sino a quel momento era la norma. Trovandosi nel mezzo dell’impasse descritta, non vi era altra soluzione se non ricorrere a scorciatoie che, innestandosi sul modello dimostratamente radicato, potessero garantirne una continuità di funzionamento e, consequenzialmente, garantire la tanto sospirata introduzione del nuovo modello: il libero mercato. Si è passati così ad una privatizzazione del patriarcalismo-di-stato prevedente, in coerenza con l’accentuarsi delle diseguaglianze sociali portate dal nuovo modello, una partizione doppia.

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Se il modello di individuo, ereditante il fattore D, era unico, una sorta di babbeo incapace di giocarsi carte che non sapeva di non avere, la nuova biforcazione innestatasi era duplice. Da una parte la privatizzazione del patriarcalismo-di-stato per le classi agiate, dall’altra quella per le classi popolari. La prima assicurante, dietro laute tangenti, una a-concorrenza tipica del a-libero mercato post-sovietico e specularmente garantente protezione ai monopoli illegali di chi, al cambio di rotta, è stato prescelto dalla nuova-vecchia classe politica. La seconda, versione low-cost, assumente la forma del clientelismo endemico. Ossia, i-babbei-incapaci-di-giocarsi-carte-che-non-sapevano-di-non-avere, gravati dall’ulteriore croce della miseria in un paese misero, hanno incominciato a pagare ricompense per vedersi restituire posizioni lavorative e modelli di vita che, sventuratamente, il collasso dello spazio sovietico aveva momentaneamente interrotto. In coerenza con il nuovo modello del a-libero mercato post-sovietico, lo Stato, adeguandosi, decise che i benefici pubblici non erano più sufficienti. Ora che il paradigma vigente era quello economico non si accontentava più di ricevere, in cambio delle nuove prebende privatizzate, solamente un benefit pubblico-politico (consenso elettorale) ma pretendeva inoltre un benefit economico (tangenti) incrementante le finanze, ovviamente personali. Oltre gli indennizzi per l’attività istituzionale, il nuovo modello del a-libero mercato post-sovietico ha quindi permesso di privatizzare una lauta parte di introiti di soggetti espletanti funzione pubblica. È la regola deviata del libero mercato d’altronde: l’intervento pubblico deve ridursi il più possibile e il soggetto pubblico deve trovare nell’esercizio del suo potere le possibilità di arrotondare privatamente. Così si è compiuto il percorso che ha definitivamente ridotto il cittadino in cliens, ossia colui che, in una pretesa democrazia e in un sistema di preteso libero mercato, pur godendo dello stato di libertà, si trova in dipendenza dal cittadino potente, dal quale, adesso privatamente, continua a ricevere protezione e prebende; e così è coerentemente proseguito il percorso che continua a garantire al cittadino potente il proprio privilegio, ampiamente desiderato da tutti i governanti, ossia la tanto agognata piena disposizione del proprio popolo.