Chi ha reso possibile il ritorno di Berlusconi

Il Caimano dal volto cattivo scaccia quello dal volto umano. Con un adattamento della famosa legge di Gresham sul funzionamento delle monete potremmo dare un titolo alla strana giornata di ritorno al passato del centrodestra. Al Senato il Pdl battezza la mattinata astenendosi sulla fiducia al governo e nel pomeriggio concede il bis prima di mandare avanti il Caimano dal volto umano: “Berlusconi è il detentore del titolo ha il diritto di difenderlo, la sua ricandidatura non rende necessario celebrare le primarie”.

Il segretario nominato per preparare la successione dopo un regno ventennale e che nell’ultimo mese ha avuto più di un’opportunità di legittimarsi attraverso un’emancipazione dal padre opprimente del Popolo della Libertà è apparso a Montecitorio a beneficio delle telecamere per riconsegnare i destini della prossima campagna elettorale proprio al Cav. Confermando la tesi su una sua carenza del quid di leadership e carisma, ma smentendo involontariamente l’interpretazione di Buttafuoco: “Oltre al quid gli manca il quoque”. E invece è saltato fuori, ma il pugnale è stato rivolto contro il suo petto. Il finale tragico del berlusconismo con l’ascesa di Edipo-Alfano, è diventato l’incipit della nuova saga della commedia umana della seconda repubblica, quella del rinnovamento portato avanti da un settantaseienne candidato per la sesta volta consecutiva alla guida del paese.

Nel Pdl, Alfano è rimasto avviluppato all’immagine dell’esecutore di un berlusconismo ingentilito, prestandosi al gioco di intestarsi ogni sconfitta elettorale, ogni arretramento nel sentiment elettorale. I numeri hanno giocato a suo sfavore. Nel dicembre dell’anno scorso il partito dell’ex premier detronizzato si attestava sul 25% dei voti. Martedì, nell’ultima rilevazione Ipsos era nel frattempo sceso al 13,9%. Più di 20 punti percentuali in meno rispetto al 2008, dieci milioni di voti che si sono volatizzati per andare in parte verso Beppe Grillo, in una porzione molto più cospicua verso il non voto. Aver ristretto l’area di consenso ad uno zoccolo duro ha spianato la riconquista della leadership per Berlusconi sostenuto da un’ala estrema di fedelissimi tanto nel suo partito quanto nella sua base elettorale. La portata enorme dell’astensione, all’incirca il 40% fra le intenzioni di voto gli fa sperare di poter attingere da un granaio immenso di suffragi moderati in cerca di una casa.

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Le primarie del Partito Democratico hanno fatto il resto. Ma in una maniera molto diversa da quanto si possa credere dalle parti dei supporter di Matteo Renzi. La sconfitta del rottamatore è stata a ben vedere un amplificatore, utile ad accelerare i tempi dell’uscita di Berlusconi dal governo tecnico e la conseguente ridiscesa in campo. Pensare che senza la designazione di Pierluigi Bersani il mondo moderato avrebbe spinto al disimpegno il fondatore del Pdl significa immaginare che con Matteo Renzi candidato per il Partito Democratico alla premiership, il centrodestra si sarebbe ritirato dalle scene. Troppo facile da pensare. E, aggiungiamo, troppo comodo per il centrodestra assolversi in questo modo e non guardare criticamente ai leader estemporanei sbucati in questo anno di sede vacante.

Prendersela soltanto con Alfano, quindi, sarebbe rivalersi su un agnello sacrificale. Che non passerà di certo alla storia per il suo cuor di leone, ma che nella sfida al candidato più inadeguato per palazzo Chigi si è trovato in ottima compagnia. Le rilevazioni demoscopiche ci sono nuovamente d’aiuto. Al di fuori del Pdl, dissanguato nel corso dell’anno di governo tecnico, il resto della compagnia del centrodestra anche quello che aveva velleità di essere di nuovo conio ha fatto acqua dappertutto: l’Udc ha dimezzato il numero di voti (5,2% secondo Ipsos, per altri è addirittura sceso al di sotto della soglia di sbarramento), Fli è ancorato da mesi al 2%, la lista Monti – anelata per mesi da Casini, Fini e Montezemolo – raggiunge a stento il 4%. Il fil rouge è ovviamente il trend del governo tecnico, che dopo aver centrato l’obiettivo iniziale di ridurre alla metà i punti dello spread sui titoli di stato si trova svuotato della sua mission e in picchiata nei sondaggi. Lo avversa più di un italiano su due.

Si peccherebbe di un’altra di furbizia nel trovare in Monti il vero colpevole. La sua impopolarità farebbe da scudo alla strategia ambigua di Casini – un giorno aperto a Bersani, l’altro disponibile ad una ricomposizione col centrodestra in nome del popolarismo, un altro ancora a favore di un Monti bis tout court –, la consunzione irrimediabile di Fini, l’attendismo snervante di Montezemolo, per non parlare dell’abbigliamento da gelataio più che da candidato premier di Oscar Giannino. Messi insieme non sono riusciti ad eguagliare neppure il numero dei voti attribuibili al Pdl con Berlusconi politicamente morente, che in queste settimane parlando coi suoi e pure dando una sbirciata a tutti i sondaggi ha scoperto che tanto ito non è.