Il ruolo delle banche centrali

Il ruolo delle banche centrali

 

Spiegare l’economia monetaria non è proprio semplice, la conoscenza della stessa permette una visione parziale del complicatissimo puzzle della Grande Crisi. Inutile nascondersi dietro a un dito, ciò che il globo intero sta vivendo in questo periodo è qualcosa che merita questo appellativo, fortunatamente molto lontano nella sostanza de quella che fu la Grande Depressione.

Bisogna fare una passo indietro e definire una Banca Centrale. Si tratta di istituti nati nel XX secolo e generalmente dopo la Seconda Guerra Mondiale, non a fini commerciali e tendenzialmente assumono una serie di attività di controllo dei prezzi e leve per la crescita. In condizioni cicliche normali, una Banca Centrale, di fronte a una contrazione della domanda di beni di consumo, tende a tagliare i tassi di interesse, perché in questa maniera aumenta la liquidità a disposizione delle Banche Commerciali che prestano soldi a un prezzo più basso alle aziende, le quali possono investire in infrastrutture e quindi aumentare la produzione, dare stipendi ai proprio dipendenti i quali li spenderanno per beni di consumo e l’aumento della domanda innalza l’inflazione. Quando l’inflazione sale, generalmente in condizioni di crescita economica, la Banca Centrale alza i tassi per creare il percorso contrario e quindi tenere sotto controllo l’inflazione che sopra certi livelli è da considerarsi potenzialmente dannosa. Tutto questo, nella teoria, si può studiare nei libri di qualsiasi scuola superiore a indirizzo economico.

Guardando ai tassi si capisce che la struttura di questa crisi è particolarmente diversa, infatti la Federal Reserve li tiene in una forbice tra lo 0 e lo 0,25% dal dicembre 2008, la Banca del Giappone (BoJ) dal 2010 ha tassi allo 0,10%, le Bank of England (BoE) allo 0,50% dal marzo 2009, mentre la Banca Centra Europea (BCE) allo 0,75% da luglio dello scorso anno.

Bene, tutto questo dovrebbe permettere una crescita potenzialmente forte, memori del fatto che in Europa i tassi erano al 4,75% nel 2001 per non parlare di quando erano determinati dalla Banca d’Italia con valori anche a doppia cifra negli anni 80 dello scorso secolo.

Queste manovre, però, sembrano non sortire soluzioni, di fatti il mercato dei beni al consumo non parte, probabilmente tutti i settori hanno anche raggiunto un certo livello di saturazione e la disoccupazione alta non permette di contrarre debiti per acquistare: senza stipendio non si possono pagare le rate, va sommato il fatto che in Europa, a differenza delle altre economie mondiali il prezzo del credito è determinato dallo Spread sul Bund, per cui in Germania fare un prestito costa circa il 3% in meno che in Italia.

Le altre economie si sono rese conto che il taglio dei tassi non è sufficiente per la ripresa, addirittura nel settembre 2009 la Svezia ruppe il tabù dei tassi negativi, portando i parametri di riferimento al -0,25%. Ben Bernanke (governatore della Federal Reserve) ha cominciato a ricomprare i Titoli di Stato dalle Banche per dare maggiore liquidità (Quantitative Easing), portando di fatti anche i tassi reali americani in territorio negativo e la Bank of England è pronta ad affrontare il problema inflazione per far ripartire l’economia.

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E l’Europa? Anche questa volta l’interpretazione è scritta più nei libri di storia che altrove. Alla fine della Prima Guerra Mondiale la Germania sconfitta fu costretta a stampare moneta per pagare i debiti e la sua Banca Centrale fu commissionata da paesi esteri  (proprio le stesse dinamiche dedicate alla Grecia) nel suo board sedeva una maggioranza di stranieri che imponeva manovre di austerity agli sconfitti. Basta girare in internet per trovare foto di persone che utilizzavano mucchi di banconote per accendere la stufa perché il valore scritto sui biglietti era inferiore alla carta su cui era stampato, o aneddoti per cui un ladro preferiva rubare una busta piena di verdura piuttosto di una piena di soldi. La Germania, che ha paura dell’iperinflazione e si tratta di una fobia intrinseca nel suo DNA sociale, non avrebbe mai permesso di fondare una Banca Centrale Europea che non vigilasse sulla bestia nera che l’ha ridotta sul lastrico tra le due guerre. Non era possibile far perdere la sovranità ai Governi nazionali, quindi la crescita deve essere demandata a azioni di politica economica, dimenticando l’esistenza delle leve dell’economia monetaria. Insomma, una BCE con le ali tarpate dalle paure teutoniche che hanno governato a Francoforte con Duisenberg prima e Trichet poi, ma Mario Draghi sembra intenzionato a cambiare più di qualche piccolo aspetto del suo mandato.

Nel frattempo però tra i grandi paesi con una Banca Centrale a pieni poteri si presenta la non tanto raffinata quanto efficace ipotesi di svalutazione competitiva: ridurre ancora i tassi, inondare il mercato delle loro valute di modo da far perdere loro di valore e quindi aumentare le esportazioni: per un acquirente un’auto della Toyota sarà, a parità di prestazioni, più conveniente di una della Volkswagen, grazie a uno Yen più debole dell’Euro. Tramite i suoi Quantitative Easing Bernanke ha di fatto accettato il rischio di inflazione pur di far ripartire i consumi negli States, stessa cosa sta facendo la BoE, con tassi estremamente bassi e non ultimo della scena, il neo eletto Governo Giapponese di Shinzo Abe ha di fatti scavalcato l’indipendenza della BoJ creando un’alleanza per permettere al Giappone di uscire dalla deflazione (prezzi che scendono in presenza di una decrescita economica) e da quello che ormai i libri di storia finanziaria definiscono come il “lost decade” ovvero il decennio perso fin da metà degli anni 90.

Nel breve termine queste svalutazioni di fatto aiuteranno questi paesi a generare una crescita economica che permetterà loro di essere più competitivi e l’impressione è che l’Europa sia deputata a subire tali pressioni vedendo la propria bilancia commerciale passare in deficit a causa della riduzione delle esportazioni, non a caso Merkel, in prima linea al World Economic Forum di Davos, ha criticato la scelta giapponese e, indirettamente, quelle statunitense e britannica. Nonostante la cordiale antipatia che la Cancelliera tedesca si è conquistata nel Vecchio Continente dovrebbe essere plaudita quando afferma che se le Banche Centrali Mondiali si fossero comportate come la BCE probabilmente la soluzione della Crisi sarebbe più vicina, ma la miopia dei Governatori sembra più forte rispetto alla visione degli statisti: infatti la saturazione del mercato è evidente a tutti i livelli e forse nel medio termine risulterà una ennesima bolla con effetti collaterali non gradevoli per le economie extraeuropee. Non ci resta che restare ad osservare sperando che anche l’Eurozona diventi più dinamica nelle decisioni a difesa della seconda economia mondiale.

di Ivan Peotta