Lavorare meno, lavorare tutti

Qual è il modo per far rinascere, nel cittadino, la fiducia verso le istituzioni, il governo, la politica? Qual è il modo per sradicare la diffidenza nei confronti di una classe politica al cui interno hanno militato, e in alcuni casi ancora militano, personaggi corrotti o ambigui? Le risposte alle domande incipitarie si preannunciano complesse e richiedono, quindi, un’acuta osservazione; ma prima di ricorrere ad una buona lente d’ingrandimento, mi urge fare una premessa.

Queste, così come altre pagine, sono rivolte soltanto alle persone oneste. Quante ce ne siano in Italia, o nel mondo intero, non è dato sapere; gli istituti di ricerca (ad esempio l’Istat, il Censis…) non possono aiutarci in tal senso.

Mi ricorre alla mente una frase molto cara ai magistrati Falcone e Borsellino: «Non bisogna mai confondere gli uomini con i ruoli».

Basterebbe, quindi, diffondere questo straordinario pensiero affinché si ristabilisse la fiducia, ma sappiamo che non è così, o almeno che finora non è avvenuto, o peggio ancora che molti hanno la percezione che non possa più avvenire. È proprio per questi motivi che ho citato questa frase, che per me rappresenta il primo passo nel senso giusto, quel senso tracciato da uomini che hanno lavorato – fino alla morte – per tutti noi, in rappresentanza dello Stato, prima fra tutte le istituzioni. Il senso profondo di quella frase, in cui le parole “ruoli” e “uomini” assumono valori immensi, è incarnato alla perfezione da tutti i cittadini che compiono il loro dovere, con dedizione verso il prossimo e, oggi più che mai, con estremo sacrificio.

Ma molti cittadini, nostri connazionali, sono deprivati di questa possibilità poiché sono stati deprivati del loro lavoro, essenza fondamentale di ogni uomo. Tra questi ultimi, molti hanno perso la speranza del futuro… la speranza di una vita. Seppur la colpa è teoricamente di molti (o tutti), la responsabilità è certamente di coloro che governano, nei quali, volente o nolente, il cittadino – soprattutto il cittadino depauperato – ripone le sue speranze, ed ancor più lo fa, e lo deve fare in un momento preciso, nel quale la sua scelta avrà un valore indissolubilmente connesso alla sua vita. Quella scelta ha un nome: voto.

È esattamente in questo punto che si innesta l’onestà alla quale accennavo nelle righe precedenti.

In molti miei scritti ho avuto modo di esporre la mia visione in merito all’onestà, all’auspicato ritorno, argomentando, per quanto possibile, le mie proposte utopistiche. Non che ora abbia cambiato idea; il sogno rimane, anche perché è l’unico che mi permette di vedere la vita in prospettiva, nella quale potrò respirare aria pulita… Abitare a ridosso di una landa definita “Il triangolo della morte” non può che ucciderti, consumarti lentamente. Molte volte ho pensato di chiedere, alla scrittrice brasiliana Martha Medeiros, il permesso di aggiungere un verso alla sua bellissima poesia “Lentamente muore”. Mi capita in situazioni particolari, tali da annebbiarti letteralmente la mente, come nel caso dell’ultima notizia, riportata nell’articolo “Nel triangolo della morte dove case, asili e strade sono costruiti con rifiuti tossici”.

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La responsabilità di chi ha governato, non solo c’è, ma in queste terre – l’intero Sud – è esponenziale. Per combattere l’ascesa di questo male, che ha preso di mira anche altre regioni d’Italia – come ci ha dimostrato Roberto Saviano, ingiustamente contrastato dall’allora ministro dell’interno Roberto Maroni – bisogna agire, ognuno per quel che può, sempre. Roberto Saviano non è nuovo a questi attacchi, che sono poi attacchi a tutti noi. Secondo Silvio Berlusconi (a quei tempi presidente del consiglio) il libro Gomorra avrebbe dato troppa pubblicità alla mafia e danneggiato l’immagine dell’Italia. A queste affermazioni, in pieno stile da “macchina del fango”, Emilio Fede (allora direttore del Tg4) aggiunse che Roberto Saviano avrebbe ottenuto una visibilità eccessiva rispetto ai suoi meriti. La dimostrazione che alcune pagine del passato siano drammaticamente attuali, è palpabile ovunque; proprio per questo motivo è importante l’azione di ognuno, la scelta che tra pochi giorni siamo chiamati a esprimere in quanto elettori, depositari del primo strumento di partecipazione.

È in quel momento che ognuno di noi diventa artefice del futuro del popolo italiano. Ma affinché questo futuro non sia lasciato in balìa di candidati capaci di soggiogare gli elettori con vane promesse, lancio un appello alle persone oneste: «Qualora veniate a conoscenza di illiceità relative alle elezioni, denunciatele».

Questi gesti di fratellanza darebbero, ai nostri connazionali più in pena, la forza per reagire alle lusinghe di coloro che manovrano il bindolo. Tali figuri, facendo leva sul bisogno e la disperazione di un uomo già abbondantemente falcidiato, barattano il voto con i diritti.D’altra parte, non si può condannare l’elettore onesto che non si senta ben rappresentato. Ma a questo punto è utile fare una distinzione, prettamente tecnica, tra la politica e la plutocrazia. Si tratta di due piani differenti di discorso, seppur strettamente concatenati.

Vi sono organismi o istituti tecnocratici (non democratici) – come la Banca centrale europea, il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione mondiale del commercio… – che hanno invaso il campo della politica.

A questo scenario bisogna aggiungere che alcune decisioni vengono prese dalle multinazionali, il cui potere è in continua ascesa e pressoché oscuro. Il popolo ha bisogno di governanti che ha eletto, non di padroni. Per ristabilire quest’ordine – la democrazia –, per non lasciare il governo nelle mani del mercato finanziario e commerciale, occorre un’inversione a favore della politica. Finché non sarà intrapresa questa strada, l’elettore onesto si sentirà sempre meno ben rappresentato. Gli unici in grado di compiere questa grande impresa, che oggi assume il carattere di una sfida, sono i politici. Ecco perché oggi il ruolo dell’elettore onesto è di fondamentale importanza. Quell’elettore potrà deputare la persona che gli garantirà questo impegno e, consequenzialmente, lo ispirerà a prendere parte alla vita politica, ridonandogli il suo ruolo di cittadino.

Ma come si individua il candidato cui affidare la suddetta ricostruzione?

Bisogna superare alcuni ostacoli, il primo dei quali è la finta coalizione. La coalizione – l’unione di più partiti – nasce su un principio di fondo, l’accordo fra le parti al fine di governare al meglio, vale a dire negli interessi di tutti i cittadini, di tutta la nazione. Se ciò non accade, bisogna capire perché.

I bari – Caravaggio

Nei tempi più o meno recenti, abbiamo assistito allo sfasciarsi di coalizioni che si presentavano indissolubili… molto spesso erano finte, in quanto avevano a cuore non gli interessi dei cittadini, bensì i propri a discapito di tutti gli altri. Affinché tutto ciò non si ripeta, è necessaria la partecipazione delle persone oneste, le uniche in grado di far luce su queste nefandezze, di contrastare questa genìa politica.

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Le finte coalizioni non sono tutte uguali, o meglio ve ne sono di due tipi. L’una crolla per motivi ideologici, l’altra per meri interessi materiali. Entrambe sono deleterie per la nazione, entrambe non rispettano il patto con gli elettori, prima ancora che tra i componenti delle stesse; ma mentre la prima si può sanare, la seconda è, senza dubbi, da estirpare (come erba maligna).

Quest’ultimo concetto introduce un altro argomento, la criminalità organizzata. L’alto numero di comuni sciolti per infiltrazioni mafiose e gli scandali relativi ai vertici ci dimostrano che le organizzazioni criminali sono entrate nella politica. A quando risale il primo ingresso, non è dato sapere con certezza, ma con certezza si può dire che quell’erba maligna ha attecchito su un terreno fondato sulla corruzione. Mi sovviene una pagina della storia trascritta in un libro – Le macerie di Napoli – che mi ha aiutato a comprendere i sedimenti psicologici di alcuni personaggi. Ne riporto un passo significativo.

 Tecnica della corruzione. «Per reato di corruzione s’intende la compravendita di voti, singoli o a pacchetti, in cambio di denaro, posti di lavoro e altro. È un reato che sta al voto di scambio come l’illegalità sta alla raccomandazione» precisa con puntiglio Nicola Quatrano. Non gli piace che i giornali parlino sbrigativi di voto di scambio: si confonde con il clientelismo, vecchia forma della politica meridionale. «In democrazia il voto è sempre uno scambio. Se un candidato promette migliori condizioni di vita, qualche elettore certo lo voterà e il suo voto sarà stato uno scambio con l’aspettativa dei vantaggi che ha promesso. Ciò è del tutto lecito. Diversa la corruzione diretta dell’elettore, quando in cambio del voto si offre qualcosa di immediatamente personale. L’elettore in quel momento è considerato dalla legge un pubblico ufficiale, in quanto partecipe del corpo di cittadini chiamato a svolgere una funzione costituzionale. Offrirgli soldi, impieghi, incarichi, oggetti, eccetera, significa tentare di corrompere un pubblico ufficiale.»

Spero che queste notizie possano contribuire a sgombrare il campo dalle nubi più fitte, ad avere un approccio tale da poter portare la politica al suo ruolo elettivo, fino a coinvolgere ogni cittadino nel suo legittimo ruolo dialettico. Per realizzare questo concetto bisogna creare delle basi molto solide. Il primo passo, cioè la priorità assoluta senza la quale crolla tutto il ragionamento fatto finora, è uno solo: il lavoro per tutti, tutti indistintamente.Qualunque programma elettorale che non ponga tale questione come prioritaria, sarà fallimentare in origine. Non si può pensare di vivere sereni, sapendo che tanti nostri connazionali – attualmente circa 3 milioni – siano senza lavoro, che la disoccupazione giovanile abbia superato il 37%.

Spaccanapoli, strada simbolo della città di Napoli

Non molto tempo fa, mi trovai a rivolgere alcune domande a tre fratelli napoletani, Carlo, Amedeo e Federico, rispettivamente di trentaquattro, trentadue e ventinove anni, tutti e tre tecnici informatici. Conoscevo già la loro storia, simile a tante altre oggi e non solo in Italia, ma sentivo di doverli incontrare, fosse stato anche solo per parlare un po’. Ma ovviamente non fu così. Superati i convenevoli, durante i quali mi parlarono soprattutto della loro più grande passione – il Napoli –, il discorso si orientò sulla loro condizione lavorativa. Fu a quel punto che, in vista anche delle prossime elezioni, rivolsi loro una domanda:

«Ragazzi, cosa vi aspettate dai politici che fra poco saranno eletti?» «Il lavoro per Amedeo» rispose Carlo, anticipando tutti. «Sì, il lavoro per nostro fratello» ribadì Federico, volgendo lo sguardo nel vuoto. Seguirono circa due minuti di silenzio, durante i quali rilessi più volte le altre sei domande che mi ero segnato su un foglietto; d’un tratto mi apparvero vacue, fuori luogo… lontane. Intanto sottotraccia si andava componendo il pensiero che, di lì a poco, trasmutai in domanda: «Carlo, Federico, sareste disposti a cedere un terzo dei vostri rispettivi lavori in favore di vostro fratello Amedeo?» «Sì, all’istante» rispose ancora Carlo per primo, balzando dalla sedia.

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«Sì, grande… che grande idea» aggiunse Federico con voce stentorea e colma di speranza. Quelle sensazioni avevano contagiato anche Amedeo, il cui volto si era irradiato e ora faceva da cornice a due scintillanti occhi azzurri, che non avevano mai perso il loro piglio.

«L’idea non è mia, è del filosofo francese Andrè Gorz e si racchiude nella famosa frase “Lavorare meno, lavorare tutti”.» Non so perché ma quell’immagine mi portò ancora più indietro nel tempo, quasi fino a farmi udire la voce di un uomo che ha dedicato la sua vita a combattere le ingiustizie subite dai lavoratori. Il nome di quell’uomo è Pietro Nenni, un grande politico italiano, nonché uno dei padri della Costituzione italiana.

Quei tre fratelli, in ogni caso, grazie all’intensità dei loro sentimenti, avevano permesso che affiorasse in me quel profondo pensiero, da estendere a tutti i fratelli d’Italia, ai quali rivolgo la medesima domanda, e dai quali mi aspetto la medesima risposta, in virtù di quella fratellanza che ci unisce anche nell’inno nazionale.

È adesso il momento di ridare una vita a coloro i quali ne sono stati deprivati. La soluzione di Andrè Gorz è perfetta e se fosse applicata in tutti gli ambiti lavorativi, con le dovute proporzioni, permetterebbe a “tutti” di lavorare, anche se “meno”.

di Antonio Capolongo