La presunta normalizzazione politica del centrodestra italiano

Al centro della storia politica italiana degli ultimi vent’anni ci sono due storie, due narrazioni che riguardano Silvio Berlusconi. Una “narrazione”, nel gergo politico, è una sequenza temporale di fatti, di eventi, ricondotta a unicità attraverso una cornice interpretativa unica che non pretende (o non si preoccupa) di soddisfare criteri di oggettività, ma punta a ricostruire un “senso” complessivo dell’accaduto.

Le due narrazioni di questi vent’anni sono fortemente contrapposte. In una di queste, Silvio Berlusconi è un imprenditore il cui indubbio successo ha origini fosche, che ha subdolamente forgiato la cultura popolare italiana attraverso la televisione e che è sceso in politica per difendere i suoi interessi, una volta che i suoi referenti politici erano stati spazzati dal ciclone-Tangentopoli. Ha utilizzato ogni mezzo per conquistare il potere, avvantaggiandosi del suo impero mediatico, e ha utilizzato quel potere per sfuggire alla giustizia, attraverso una serie infinita di leggi ad personam e di stratagemmi vergognosi.

È una ricostruzione abbastanza aderente a quanto raccontato da Nanni Moretti nel suo Caimano.

La seconda narrazione ci dice che Berlusconi è invece un salvatore della Patria. Un imprenditore di successo che con immenso sacrificio si è “prestato” alla politica (pur essendo molto diverso dai politici tradizionali) per evitare che i comunisti prendessero il potere in Italia, dopo il golpe giudiziario con cui le “toghe rosse” hanno cancellato, di fatto, i partiti democratici che avevano governato l’Italia per un cinquantennio, portandola al benessere e alla libertà. Silvio Berlusconi è riuscito a impedire che tutto questo accadesse, difendendo in prima persona quel benessere e quella libertà. Per questo è stato perseguitato dai giudici comunisti e dagli avversari politici, che hanno cercato di liberarsi di lui per via giudiziaria.

È una ricostruzione da Esercito di Silvio.

Ora: ognuno può dare i giudizi che ritiene, e può scegliere di abbracciare l’una, l’altra o nessuna di queste due “versioni dei fatti”. Ma queste due narrazioni non sono conciliabili tra loro. Il termine “pacificazione” nasconde la profonda ipocrisia che sia possibile cancellare questa contrapposizione insuperabile, che sia possibile dimenticare questo passato (recentissimo, e ancora in corso in fin dei conti). Le visioni che ci “narrano” questi eventi sono ontologicamente in guerra l’una con l’altra; una guerra insanabile perché la contesa è irriducibile, l’avversione è totale. Non è possibile scendere a patti con siffatto nemico, né per l’una né per l’altra parte. La frattura è insanabile perché è attorno a questa frattura che si sono formati i due campi avversi: il fronte dei berlusconiani contro il fronte degli “anti”.

Berlusconi, con la sua anomala e mastodontica presenza e con la sua innata capacità di dividere, ha dominato entrambi i fronti, entrambi i campi della scena politica italiana.

È stato il dominus incontrastato del centrodestra, rendendosi in ciò responsabile dell’appiattimento di una cultura politica che riconosceva i suoi capisaldi nel liberalismo di Croce e di Einaudi, su posizioni populistiche e demagogiche da avanspettacolo e sull’ostentata rozzezza del movimento leghista.

Ha dominato anche il campo opposto, costituendo il principale (se non l’unico) collante di due culture politiche molto distanti tra loro quali il cristianesimo sociale della Margherita e la socialdemocrazia (post-comunista) dei DS. L’occupazione da parte di Berlusconi dello spazio politico naturalmente riservato ai “popolari”, in Europa, ha spinto tutti gli altri attori politici italiani a stringersi tra loro nel campo avverso, dando vita ad una “fusione degli opposti” che ha svuotato di contenuto, di messaggio e di identità l’area socialdemocratica, in quel pasticcio che è il Partito Democratico.

Berlusconi ha dominato la scena politica italiana. Ne ha forzato le regole, attaccandone gli equilibri istituzionali (con la sua difficile convivenza con la Presidenza della Repubblica, con la sua visione proprietaria del Parlamento, con la sua incessante guerra con la magistratura). Ne ha alterato il normale funzionamento democratico, sdoganando la demagogia come orizzonte di governo, facendo abuso del suo potere mediatico durante le campagne elettorali e “favorendo” con mezzi più o meno leciti il passaggio di parlamentari da un campo all’altro.

In questi ultimi giorni stiamo assistendo a qualcosa che viene considerato da molti come un “nuovo inizio” per il centrodestra italiano. Lo strappo realizzato da alcuni ministri e parlamentari del PdL, e la clamorosa retromarcia strategica di Berlusconi sulla fiducia al governo Letta sarebbero l’atto di nascita di un centrodestra autenticamente moderato, repubblicano ed europeo di cui l’Italia ha un disperato bisogno.

(Per continuare la lettura cliccate su “2”)

La prudenza è d’obbligo. Abbiamo già visto diverse volte questi tentativi infrangersi contro il muro dell’immortalità politica di Berlusconi, e fallire poi miseramente alla prova delle urne. È successo a Casini a cavallo tra il 2007 e il 2008, quando si rifiutò di confluire nel PdL e si è riservato un destino da eterno “incompiuto” di un neo-centro democratico-cristiano mai nato. È successo poi a Fini nel 2010, sepolto sotto le fangose macerie della casa di Montecarlo anche oltre le sue oggettive responsabilità. È successo da ultimo a Mario Monti, considerato da molti il “volto buono” di un centro-centrodestra italiano liberale e europeista, ma di fatto ridotto alla marginalità politica dagli elettori.

Berlusconi ha sempre saputo difendersi, soprattutto dagli alleati. È sempre risorto politicamente, anche quando le circostanze lo davano per spacciato. L’ultima capriola clamorosa, martedì sulla fiducia in Senato, lo tiene aggrappato al carro anche questa volta. È possibile che anche questa volta le divisioni rientreranno, che Alfano si riterrà soddisfatto di un maggior equilibrio tra “falchi” e “colombe” nell’organigramma della nuova Forza Italia, che i numeri degli ipotetici gruppi autonomi al Senato e alla Camera si ridurranno ad un gesto di testimonianza, un po’ come Fratelli d’Italia quando Berlusconi cancellò di botto le entusiasmanti primarie del centrodestra tra Alfano, la Meloni e la Santanchè.

Il punto è che una eventuale e auspicabile “normalizzazione” del centrodestra – e di conseguenza di tutta la politica italiana – sarebbe un processo lungo e articolato, per almeno tre ragioni.

Innanzitutto, occorrerebbe mettersi alle spalle non solo Berlusconi, ma la cultura del berlusconismo. L’idea che in politica sia possibile sostenere impunemente tutto e il contrario di tutto, la sfacciata mancanza di pudore nel contraddire se stessi, la propaganda anti-politica (contro i “professionisti” della politica, contro i politici che non hanno mai lavorato e che rubano i soldi dei contribuenti vessati dallo Stato), l’ostentata assenza di etica. Sono questi gli ingredienti con cui Berlusconi ha avvelenato il dibattito politico italiano, causando rassegnazione e sconforto (la logica del “sono tutti uguali”) o suscitando la reazione massimalista del grillismo. Sarà duro e sarà complesso, ma questo “risorgimento” della Politica è imprescindibile.

Occorrerebbe poi che si formasse una classe dirigente degna di questo nome nel centrodestra italiano. Competente, dotata di visione strategica e radicata sul territorio. Il Porcellum è un tappo formidabile a questo processo, e ha permesso a Berlusconi di adottare un criterio di selezione del personale politico felicemente riassunto nella formula “nani e ballerine” (Mara Carfagna ministro delle Pari Opportunità, con tutto il rispetto, ricorda tanto il cavallo di Caligola fatto senatore).

Occorrerebbe infine l’abbandono della contrapposizione con il “nemico” comunista, per una normalizzazione dei rapporti di dialettica politica tra i due schieramenti che passi dalla condivisione di una logica autenticamente repubblicana: comune emarginazione dei rispettivi populismi, equilibrio nella rappresentanza mediatica e nell’informazione e legittimazione reciproca, pur nella (anche radicale) diversità di vedute politiche.

Sono processi complessi e che solamente il tempo potrà portare a compimento. Se e quanto Cicchitto, Alfano, Formigoni o Giovanardi siano in grado di realizzare tutto questo, è quantomeno da vedere.