Nichi il Caymano, oppure (un debole) Vendola

Nichi vendola

Il “pasticcio” della cena di fund raising, organizzata dal business man Davide Serra in favore di Matteo Renzi è l’ultimo episodio di una campagna per le primarie che sta vivacizzando il campo dei progressisti e rappresenta forse l’unico dibattito politico in corso nel Paese, se escludiamo i commenti alle disposizioni del governo Monti.

Dopo aver celebrato – anche con qualche ragione – come una vittoria personale il ritiro di Veltroni e D’Alema (quest’ultimo solo in caso di vittoria di Bersani) dalla scena politica nazionale, per il sindaco di Firenze si è verificato il primo vero passo falso della sua campagna: non aver saputo – o aver volutamente ignorato – che il promotore della cena è un investitore con tanto di società off shore. Il clima nel paese è quello che è, imprenditori, lavoratori e pensionati sono alle prese con una cura dimagrante impressionante, ed il segretario del Pd ha avuto gioco facile a puntare il dito su chi “difende” il proprio patrimonio nascondendolo in un paradiso fiscale come le Cayman, al riparo da tutte le misure di austerity fatte per sanare il bilancio del Paese. Ed ha quindi gioco facile a chiamare alle armi un elettorato che “di questa gente qua” (per dirla con Bersani) è parecchio stanca.

Ma a chi non dev’esser parso vero di poter tornare alla ribalta, è sicuramente Vendola.

 

Già, chi l’ha visto, Nichi Vendola, in questa campagna elettorale?

Eppure, il Presidente della Regione Puglia, dovrebbe essere il più esperto della competizione. Nel freddo gennaio del 2005, non accettò la candidatura di Francesco Boccia (margheritino, proveniente da una dinastia molto apprezzata in Puglia, ed appoggiato anche dai Ds) e si candidò alle prime primarie dell’epoca moderna. Le vinse, spaccando i Ds pugliesi come un cocomero ottenendo buona parte dei consensi degli iscritti, e poi sfidò Fitto (all’epoca considerato l’erede di Berlusconi, anche lui di estrazione politicamente “nobile”, nonché Presidente in carica)per le elezioni “vere”. E vinse, nella regione che il missino Tatarella chiamò “la nostra Emilia, nera”. Gay e comunista aveva sottratto anche voti clericali al centrodestra. Cinque anni dopo, per D’Alema – il plenipotenziario del centrosinistra in tutto il meridione – la Puglia doveva essere la regione dove sperimentare alleanze nuove, con l’UdC di Casini, a costo di sacrificare il governatore in carica. Nichi fece di tutto per evitarlo, sfidò nuovamente Boccia alle primarie, spaccò come un cocomero (questa volta) il Pd, vinse e poi rivinse la competizione ufficiale, questa volta contro il delfino di Fitto, tale Rocco Palese (“chi?” chiese Berlusconi quando lo sentì nominare, ma questa è un’altra storia). E negli anni, da Pisapia a Zedda, sono stati tanti a vincere le primarie nel nome del rinnovamento vendoliano.

Insomma, il leader di Sel dovrebbe rappresentare per l’opinione pubblica, molto più di Renzi, l’idea del cambiamento, l’idea del Davide che sconfigge Golia. E invece no, Nichi Vendola in questo è stato “asfaltato” dal sindaco di Firenze, che si è mosso per tempo, con lo slogan della rottamazione, della sfida – non solo – generazionale.

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La sua campagna elettorale ha anche uno slogan ad effetto – virale, si direbbe nel mondo del marketing politico: “oppure Vendola”. Ci si può attaccare una qualsiasi delle storture del nostro Paese (ed infatti i suoi supporter lo fanno), ed il risultato è garantito. Ma è il personaggio in sé, a non rendere più. Guardiamo i sondaggi: Vendola è attualmente terzo per gran parte degli istituti, sta recuperando, certo, e forse arriverà anche al ballottaggio, ma è ben lontano da una soglia per così dire accettabile di consensi per uno con un cursus honorum come il suo. D’altronde, come aveva argutamente notato Carlandrea Poli sul Termometro Politico, il governatore è sembrato da subito abdicare al ruolo di sfidante preferendo giocare come “avversario ma non troppo” del segretario del Pd.

Ora ha un asso nella manica, la polemica sui rapporti con la finanza che coinvolge i due principali competitor del Pd: Bersani attacca, si diceva, ma Renzi lo sfida e potrebbe citare i rapporti del partito con Unipol ed Mps (che non sono la stessa cosa, ma tant’è, per imbastire una polemica mediatica basterebbe anche meno). Vendola invece può dire – ed infatti lo sta facendo – che a cena con lui, il mondo della finanza non ci andrebbe. Su questi punti è molto più netto rispetto al Pd, il suo messaggio, fatta la tara al suo celebre eloquio, arriverebbe molto più chiaro agli elettori del centrosinistra.

Sta ancora una volta a Nichi Vendola decidere se vuole cominciare a competere sul serio, o se considera la sua stagione di popolarità conclusa.