Le dimissioni di Oscar Giannino

La vicenda del master fasullo è oggettivamente un brutto, bruttissimo colpo per Oscar Giannino. Lo sforzo organizzativo di cui Fare per Fermare il Declino ha dato prova nel corso degli ultimi due mesi rischia di essere vanificato di colpo, per un fatto che, se in assoluto pare veniale (quasi folcloristico, visto il personaggio), applicato ad un soggetto politico che della trasparenza e del merito fa le sue bandiere diventa un peccato mortale.

Nell’intervista rilasciata a Daria Bignardi Giannino ha finalmente chiarito a tutti come stanno effettivamente le cose: si è trattato di vere e proprie menzogne, premeditate e sistematicamente ripetute da trent’anni. Sebbene non vi sia alcunché di rilevante dal punto di vista giudiziario, perché i presunti titoli di studio non sono stati inseriti in alcun curriculum ufficiale, è indubbio che l’immagine di Giannino ne esca nettamente oscurata. Il giornalista, da parte sua, è in queste ore interamente dedito ad evitare che il suo nuovo partito venga coinvolto da questa vicenda. Ci riuscirà?

A rigore di logica, le idee che un movimento professa restano le stesse a prescindere da chi ne è il portavoce: ma è inutile dire che quando un partito, per di più nuovissimo, è rappresentato nei mezzi di comunicazione da una sola persona, la quasi totalità della popolazione finisce per identificarlo con essa. Inevitabilmente, le ripercussioni saranno pertanto gravissime. Il partito, dopo aver iniziato in sordina la campagna elettorale, si era fatto largo grazie alle sempre scoppiettanti apparizioni televisive del suo Presidente, alla sua oratoria puntuta ed esplicita, alla sua capacità di cogliere sempre sul vivo l’interlocutore. In alcuni contesti del paese, ed in particolare nel Nord produttivo sconsolato per il mancato mantenimento delle promesse dell’accoppiata Berlusconi-Lega, Giannino sembrava aver letteralmente sfondato.

Per certi versi, rappresentava una riedizione aggiornata e rabbiosa della promessa di rivoluzione liberale del 1994. La prova più evidente della sua crescita è venuta da Berlusconi, il cui comportamento costituisce, in questi casi, un indicatore infallibile. Se è vero che Giannino è un concorrente d’area, farne anche solo accenno è assolutamente nefasto fino a che esso rimane nell’ombra e riesce ad interessare pochi. Il fatto che il Cavaliere abbia deciso di parlarne in pubblico (prima chiedendogli il ritiro, poi accusandolo, ora sbeffeggiandolo) è un segno inequivocabile che i sondaggi in suo possesso dessero il movimento ultraliberista in rapida ascesa, almeno in alcune zone. Si pensi, in particolare, alla Lombardia, dove Fermare il Declino presenta anche un candidato alle regionali. Si pensi anche a quanto è decisivo, per Berlusconi, ottenere il premio di maggioranza regionale al Senato in Lombardia e Veneto. Giannino aveva risposto a tono alle sollecitazioni di Berlusconi, rispedendo al mittente l’offerta di ritiro ed anzi inasprendo le accuse e le critiche all’ex premier, per mostrare come fosse assolutamente giustificato il timore di quest’ultimo di perdere a causa sua. L’esperimento sembrava riuscire alla perfezione, quando ecco piovere dal cielo le accuse di Zingales.

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Il fatto che la bolla sia esplosa così a ridosso del voto è di grande rilevanza: una settimana dopo sarebbe stato troppo tardi; una settimana prima avrebbe concesso al partito un po’ di tempo per riprendersi. Giannino ha reagito con uno sconforto evidente, ma nell’unico modo in cui poteva: provando a convertire a suo vantaggio la forza del colpo ricevuto. Nel tentativo di mostrare quanto sia coerente il proposito di meritocrazia e di trasparenza del suo movimento, il giornalista ha presentato le sue dimissioni da Presidente del partito e, a quanto si legge dalle indiscrezioni, ha preteso che una riluttante Direzione Nazionale le accettasse. Non si è ritirato dalla corsa a Palazzo Chigi (cosa del resto impossibile), ma si è impegnato a dimettersi da parlamentare, in caso di elezione.

Difficile dire se questa strategia riuscirà a salvare il salvabile dal punto di vista elettorale. La reazione c’è stata, rapida e tutto sommato politicamente sensata. Il partito ha reagito in modo molto diverso da quello che è stato il comportamento dei partiti italiani degli ultimi anni. Di fronte alla messa in stato di accusa del proprio indiscusso protagonista, non si è arroccato a sua difesa, magari contrattaccando il suo accusatore, ma ha accettato di trattare il proprio leader come un iscritto qualunque, ed in questo pare abbia svolto un ruolo decisivo lo stesso Giannino.

Un comportamento che invita i militanti e i simpatizzanti a concentrarsi sulle proposte e non sulle persone che le annunciano, e che lascia ipotizzare che fra i vertici del partito alberghi la convinzione di andare avanti anche dopo le elezioni, a prescindere dal loro esito. Il messaggio politico vendibile, insomma, c’è: ora si tratta di trasformarlo in voti. Perché questo avvenga, è necessario che questo passaggio politico delicatissimo venga spiegato, argomentato, giustificato. Sarà fondamentale l’utilizzo che si farà dei mezzi di comunicazione nei prossimi due giorni. La domanda oggi è se sia il caso o meno che a occuparsene sia Giannino: il rischio è che le sue apparizioni televisive si trasformino in interrogatori sulla sua vita privata, e questo sarebbe altamente controproducente.

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