Sentenza Ruby, nessun rischio per il Governo. Per ora

Il 533 fa sempre male, a chiunque tocchi. Per i non giuristi, si tratta dell’articolo del codice di procedura penale in base al quale un qualunque giudice di questo paese condanna un imputato qualunque, a prescindere dal nome che porta e dal ruolo che ha nella società. Avrà fatto male, dunque – non c’è da stupirsi – anche a Silvio Berlusconi, dopo la sentenza emessa lunedì pomeriggio in primo grado dal Tribunale di Milano. Questo intervento non ha minimamente lo scopo di commentare quella sentenza (non sarebbe educato farlo e, soprattutto, sarebbe poco saggio, non disponendo ancora delle motivazioni dei giudici); è più che lecito, invece, chiedersi se la condanna rischi di colpire anche il “governo di servizio” guidato da Enrico Letta oppure se la sopravvivenza dell’esecutivo sia al sicuro.

Prima di tutto, una riflessione giuridica è d’obbligo, visto che le urla di giubilo da una parte e quelle di indignazione e rabbia dall’altra stanno facendo passare in secondo piano un “dettaglio” non trascurabile: trattandosi di sentenza non definitiva (dunque non irrevocabile), la condanna non è esecutiva, cosa che vale tanto per la pena detentiva (che comunque Berlusconi non potrebbe scontare in carcere, vista l’età), quanto soprattutto per la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Chiunque avesse stappato una bottiglia o si fosse stracciato le vesti pensando di non poter più vedere Berlusconi candidato a qualunque tipo di elezione, si (ri)guardi l’articolo 650 del codice di procedura penale e si calmi; ciò detto, torniamo ai riflessi politici della sentenza.

Le cronache delle ultime 36 ore ci consegnano un Pdl iracondo, soprattutto per mano degli esponenti qualificabili come “falchi”; nulla di più o di diverso rispetto a quanto è accaduto in questi anni. Il punto è capire se questo avvenimento, unito alla decisione della Corte costituzionale sul conflitto di attribuzioni a proposito del legittimo impedimento e (forse) alla sentenza della Cassazione sul risarcimento legato alla vicenda “lodo Mondadori”, provocherà sconquassi nel governo o addirittura la sua fine decisamente prematura nel giro di poche settimane. Quest’ultima eventualità, a dire il vero, sembra la meno probabile: in fondo, nessuno ha chiesto di staccare la spina ora all’esecutivo di Letta (l’hanno solo paventato da sinistra), anche perché una vera convenienza a votare ora non c’è. Certo, il Pdl potrebbe fare leva sull’effetto “persecuzione”, sperando di trasformare in consenso i numerosi eventi negativi sul fronte giudiziario: negli anni, del resto è già accaduto. Lo stesso partito tuttavia non avrà dimenticato i risultati delle ultime elezioni amministrative (pur con tutte le preoccupazioni con cui vanno considerati) e non è affatto detto che ci sia la voglia di affrontare un’altra campagna elettorale (costi compresi, un argomento che nessuna forza politica ora può permettersi di sottovalutare).

È assai più probabile, invece, che il Pdl non metta per ora in discussione la stabilità del governo, preferendo piuttosto alzare la posta per la propria “lealtà”: due fronti, da questo punto di vista, sono già chiarissimi. Da una parte c’è quello tributario, con la pretesa di abolire l’Imu ed eliminare l’aumento dell’Iva che quasi certamente saranno considerate ancora più «imprescindibili»: Brunetta ha già bollato come «presa in giro» l’eventuale rinvio di tre mesi dell’eventuale incremento Iva (dimenticando, magari, che sarebbe stato più facile sterilizzarlo senza insistere sull’Imu), dimostrando di non volere minimamente cedere sul punto. Non si riuscisse ad evitare l’aumento dell’Iva o a cancellare l’Imu, il governo cadrebbe? Possibile, ma non automatico, per le stesse osservazioni fatte prima: difficile che il Pdl voglia le elezioni se rischia un bagno di sangue.

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L’altro fronte, altrettanto invocato in queste ore, è quello della giustizia, con il Pdl a esigere anche una riforma del tutto prioritaria che «eviti che ci sia la subalternità della politica ad un organo dello Stato», per dirlo con le parole di Micaela Biancofiore. Anche qui, però, far cadere il governo al centrodestra non converrebbe. Paradossalmente, i fedelissimi di Berlusconi avrebbero il risultato migliore per loro qualora riuscissero a ottenere anche solo una parte della riforma auspicata: non solo perché vedrebbero almeno in parte soddisfatte le proprie richieste ed esigenze, ma (soprattutto) perché otterrebbero questo proprio mentre il governo è guidato da una figura di centrosinistra, per cui le critiche e le accuse conseguenti alla riforma colpirebbero soprattutto quella parte politica e non il Pdl, per una volta. Il Pd, del resto, sa tutto questo ed è tutto meno che scontato che sia disposto ad avere la parte peggiore in uno scenario così configurato: molto dipenderà dalla compattezza che riuscirà a esprimere sul tema della giustizia, oltre che su quello fiscale.

Le prossime settimane saranno fondamentali per capire cosa in effetti accadrà. Sarà anche interessante capire che intenzioni avranno le altre forze politiche, soprattutto Scelta civica (un po’ per la loro consistenza in Parlamento, un po’ perché il ministro della giustizia, Anna Maria Cancellieri, era arrivata a funzioni di governo proprio con Monti), così come sarà interessante tenere d’occhio le vicende del MoVimento 5 Stelle, in caso di ulteriori defezioni o espulsioni, che alla fine potrebbero avere un peso per il computo della maggioranza. Per ora, l’unica certezza sembra la stabilità del governo, per lo meno per tutta l’estate; con l’arrivo dell’autunno, Letta spererà che a cadere siano soltanto le foglie.