Davvero l’Imu indebolisce Letta?

Era inevitabile che la decisione relativa all’Imu comunicata ieri producesse riflessioni sulla tenuta del governo e sul “peso” che le due maggiori forze politiche saranno in grado di far valere d’ora in avanti, influendo sulla durata stessa dell’esecutivo.

E’ altrettanto chiaro che la prima lettura, forse quella più facile, attribuisca al Popolo della libertà una posizione di vantaggio.

Le dichiarazioni del segretario (e vicepresidente del Consiglio) Angelino Alfano e di tutto il partito – che continua a parlare di “promessa mantenuta” – farebbero pensare che ieri solo il Pdl possa avere messo a segno una vittoria.

Il Pd invece, per usare le parole di Monti, si sarebbe piegato alle richieste del partito legato a Berlusconi, al punto che molti elettori avrebbero buon gioco a parlare di una sorta di “ricatto” che i democratici avrebbero accettato per garantire un po’ di vita al governo di Enrico Letta e allontanare (almeno per stavolta) lo spettro di nuove elezioni.

A prima vista, cambierebbe poco anche se si considerasse che quello di ieri è stato essenzialmente un impegno politico – le risorse per la cancellazione della seconda rata Imu ancora non sono determinate, occorrerà farlo nella legge di stabilità a ottobre e non sarà una passeggiata – e che il Pd è riuscito comunque a “coprire” gli interventi in materia di cassa integrazione straordinaria e di “esodati” (che, peraltro, in condizioni diverse avrebbero potuto essere più consistenti).

Letta, in ogni caso, si mostra relativamente tranquillo. Anche stamani, intervenendo a Radio anch’io, ha dichiarato: “Al di là del governo più forte o più debole e del chiacchiericcio politico che non mi interessa, mi sembra che il governo abbia varato misure importanti da cui l’Italia può trovare grande giovamento“. Eppure, forse, una riflessione sulla stabilità del governo dovrebbe davvero essere più approfondita.

E’ vero, la parola Imu sta per essere abolita dal vocabolario (per dirla con Alfano), ma si è già detto che non sparirà, per lo meno non del tutto. A partire dal 2014, infatti, l’imposta sugli immobili sarà inclusa nella cosiddetta service tax, ossia un’imposta sui servizi comunali. Se la prima componente del balzello riguarderà la gestione dei rifiuti urbani (e quindi sostituirà ad ogni effetto la Tares, coprendo interamente i costi del servizio), la seconda concernerà la copertura dei servizi indivisibili, dovrà essere pagata da chi occupa fabbricati e i comuni potranno scegliere come base imponibile la superficie o la rendita catastale.

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In questo modo, come si vede, la sostanza dell’Imu rientra comunque dalla finestra nel 2014, anche se la si pagherà con un altro nome e avrà una natura legata ai servizi e non patrimoniale com’era fin qui.

Insomma, la vittoria del Pdl in questo senso appare per lo meno dimezzata, anche se nessuno lo dice apertamente.

Non basta però. Va anche ricordato come in questi giorni le dichiarazioni degli esponenti maggiori del partito di Alfano abbiano messo in luce due punti inderogabili, senza lo scioglimento dei quali il governo di Letta sarebbe certamente caduto: l’abolizione dell’Imu e la “agibilità politica” di Silvio Berlusconi.

Ora, le reazioni soddisfatte, quasi trionfalistiche del Pdl di ieri fanno dire che il primo punto è stato attuato; sotto un’altra ottica, però, il Pdl ora dispone di un’arma in meno per determinare la durata del governo e la sua azione. Difficilmente potrebbe lamentarsi della soluzione ottenuta, proprio per quanto è stato dichiarato ieri, dunque in un certo senso Letta è meno “sotto tiro” rispetto a prima.

Certo, resta l’ostacolo (difficile da sormontare) legato alla situazione di Berlusconi. Pensare però che, come il Pdl ha ottenuto la cancellazione dell’Imu, otterrà anche ciò che vuole riguardo al suo leader, è sbagliato: non c’è nulla di automatico. Non è affatto escluso che il Pd alla fine accetti che la Giunta del Senato si rivolga alla Corte costituzionale, ma non sarebbe una conseguenza di quanto è avvenuto ieri in Consiglio dei Ministri.