Un (voto) segreto potenzialmente letale

La proposta di votare al Senato con voto palese sulla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi  parte da un presupposto in realtà del tutto estraneo alla stessa vicenda berlusconiana. Molto spesso, infatti, ogni qualvolta si è dovuto votare per la decadenza, per motivi giudiziari, di un deputato o di un senatore, la tendenza è stata quella di osservare lo sfaldarsi o il delinearsi di minoranze o maggioranze trasversali.

Non tanto in nome dell’orientamento politico del parlamentare in questione, ma piuttosto per interessi di tipo “corporativo” non troppo dissimili da quelli che si registrano in altri ambiti lavorativi. Molto spesso infatti, attraverso il voto segreto il Parlamento non ha esitato a bocciare alcune richieste di decadenza favorendo in questo modo il permanere in carica del parlamentare in questione.

Lo insegna la vicenda di Nicola Cosentino (giusto per tornare ad un passato recente) o quella di Alberto Tedesco, salvato da un’aula di Palazzo Madama a maggioranza di centrodestra ma per niente preoccupata di votare a favore degli interessi di un esponente politico eletto nelle file del centrosinistra. Non è solo questione di garantismo, presente in numerose sensibilità del centrodestra, ma anche una tendenza a preservare l’integrità lavorativa di un proprio collega.

Luigi Zanda. Si è detto favorevole al voto palese in aula

Quasi una forma di empatia dalle radici primordiali che esula da qualsiasi connotazione o continuum destra-sinistra. Alla base di questo rischio, da sempre presente nelle aule parlamentari, una pattuglia di senatori del Movimento Cinque Stelle ha dunque proposto una modifica del regolamento chiedendo che si voti con voto palese sulla decadenza di Berlusconi.

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I penta stellati infatti temono il salvataggio in extremis del Cavaliere e vogliono la certezza che ciò non avvenga. La soluzione: vincolare il voto ad un criterio di pubblicità e trasparenza che vedrebbe il fronte della decadenza nettamente favorevole rispetto a quello del salvataggio (una dinamica che del resto si sta registrando anche presso la Giunta per le Immunità e le Elezioni del Senato dove i gruppi parlamentari sono rappresentati proporzionalmente).

Il Partito Democratico, assieme ad altre forze politiche, ha sposato la proposta grillina per un timore non tanto legato alla condotta dei propri senatori, ma paradossalmente, a quelli dello stesso Movimento Cinque Stelle: al Nazareno infatti si teme che col voto segreto alcuni grillini potrebbero votare contro la decadenza. In questo modo gran parte dell’opinione pubblica addosserebbe ai democratici la responsabilità di questo salvataggio nei confronti del Cavaliere infliggendo un altro duro colpo al partito guidato da Guglielmo Epifani.

La discussione ha qualcosa di barocco e le voci del PdL, che vedono in questa proposta la prova dell’astio di gran parte dell’arco parlamentare nei confronti del senatore Berlusconi, forse non sono del tutto infondate (anche se in linea teorica i tempi per cambiare il regolamento presso l’apposita Giunta senatoriale ci sarebbero). Ma al tempo stesso è interessante notare come la stessa specificità dell’humus politico berlusconiano renda l’ex premier immune alle dinamiche corporative di cui sopra, tese a preservare il destino di un parlamentare a tutti i costi. Berlusconi è stato infatti una delle principali architravi del nostro bipolarismo, ormai sempre più malconcio.

Non si tratta di un parlamentare qualsiasi e nemmeno di Craxi che si muoveva pur sempre in un’ottica di arco parlamentare ben definito. E’ l’uomo che si odia o che si ama. E gli interessi di un singolo parlamentare difficilmente possono fare breccia nei confronti di un personaggio così eccezionale e tremendamente importante.

Se, dunque, si voterà col voto segreto, e se il Parlamento voterà a favore della decadenza nei confronti di Berlusconi, questo sarà anche per responsabilità dello stesso Cavaliere. Che rendendo il sistema politico italiano preda di una costante anomalia non ha potuto creare quei presupposti che avrebbero potuto salvare esponenti politici meno controversi, peones, o dirigenti di medio cabotaggio di entrambi gli schieramenti politici.