Il PDL cinque anni dopo

PDL. Da partito unico del centrodestra a costola leghista. Il centrodestra italiano uscito trionfalmente dalle elezioni politiche del 2008 era un centrodestra basato su un grande partito a vocazione nazionale, il PDL, e su un partito di dimensioni medio-piccole, ma molto radicato nella zona nordorientale del paese, la Lega Nord.

Il primo dei due giungeva sino a percentuali di consenso estremamente significative: il 37,4% dei voti è una cifra che nel nostro paese è stata raggiunta solo dalla DC dei tempi migliori.

L’Italia, dopo 15 anni all’inizio della stagione del bipolarismo e dell’alternanza, sembrava aver trovato finalmente un grande partito in grado di monopolizzare l’elettorato moderato. Il corrispondente italiano ai conservatori inglesi, ai popolari spagnoli, ai cristiano-democratici tedeschi e ai gollisti francesi.

Oggi, cinque anni dopo, appare chiaro e limpido a tutti quanto quell’operazione fosse, per l’appunto, solo un’operazione elettorale, e non un’operazione politica. Si è trattato di un vero e proprio bluff.

Le difficoltà politiche del PDL erano a dir la verità già palesi nel corso dei tre anni e mezzo di vita del governo Berlusconi.

In quell’esperienza è apparso in modo evidente come in realtà la linea politica dell’esecutivo fosse completamente in mano ai leghisti. Fra i tanti possibili, basta un solo semplice esempio per averne una plastica dimostrazione.

Possibile che una riforma come il federalismo fiscale – una riforma potenzialmente rivoluzionaria (se fatta bene), ma anche (se fatta male) potenzialmente devastante per il Meridione – sia stata affidata interamente ad un partito che rappresenta esclusivamente la parte del paese che da tale riforma ha solo da guadagnare?

Come è possibile che un partito a vocazione nazionale non si renda conto della follia insita in questo comportamento politico?

Ma il punto è proprio questo, il PDL, pur avendo preso 13 milioni di voti, nei tre anni e mezzo successivi al trionfo elettorale si è mosso in modo assolutamente “non politico”. Ovvero assolutamente incoerente sia rispetto ai valori che professa, sia rispetto ai propri interessi di parte (cioè, a quelli della propria base elettorale di riferimento).

 

Un soggetto privo di un linea politica coerente, pur elettoralmente molto significativo, nel medio periodo non può che trovarsi in grande difficoltà nei confronti di chi invece una linea politica ce l’ha, e la segue chiaramente.

Anche la Lega ha vissuto momenti di grande difficoltà nell’ultimo anno ma, a differenza del PDL, è stata in grado di reagire. Cambiando vertici, uomini, immagine. La subordinazione politica del PDL alla Lega, oggi evidente a chiunque, è la conseguenza di questa disparità di comportamenti.

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Per aggiudicarsi di nuovo l’appoggio leghista, senza il quale oggi non conterebbe più niente dal punto di vista elettorale, Berlusconi è stato disposto a cedere a Maroni sostanzialmente su tutte le questioni politiche.

Primo: con l’ennesima piroetta, ha rinunciato a correre personalmente per Palazzo Chigi, solo un mese dopo aver fatto disdire le primarie per poterlo fare, e rendendo addirittura una pantomima tutto ciò che è successo al suo partito nel corso dell’ultimo periodo.

Secondo: ha ceduto sul tema del trattamento fiscale privilegiato per le regioni del Nord, dimostrandosi il più secessionista ed estremista di tutti.

Non preoccupandosi di entrare in evidente contraddizione sia con la vocazione nazionale del suo partito sia con le alleanze sudiste che comunque è stato costretto a fare.

Terzo: ha scelto di sostenere esplicitamente Maroni come candidato alla presidenza della Regione Lombardia, distruggendo le uniche due persone che ancora nel suo partito contassero qualcosa in tale contesto, ovvero Albertini e Formigoni, e dichiarando sostanzialmente morto quel che resta del PDL oltre il Po (si pensi alla fine che il partito sta facendo in Veneto dopo tre anni di governo leghista).

Insomma, in Veneto ed in Lombardia, il PDL è oggi una sorta di partner minore della Lega Nord, sia sotto il profilo dei consensi, sia sotto il profilo dei contenuti.

Una disfatta vera e propria per un partito che fino a tre anni fa, in quelle zone, prendeva il triplo dei voti che oggi gli sono accreditati ed esprimeva due governatori su tre. Ma il vero punto politico, o se si vuole “non politico”, è che a Berlusconi pare che tutto questo non importi.

In sintesi, in 20 anni Berlusconi è stato formidabile nel creare il “contenitore” PDL e nel dargli un grande peso elettorale, ma ha clamorosamente fallito nell’ambizione di infondere in quel contenitore una qualche sostanza politica riconoscibile.

Dopo averlo fondato con la sua persona, oggi, con la scelta di non ritirarsi e di ripercorrere le stesse vie del passato, lo sta invece emarginando e, come in passato, per contare ancora qualcosa è costretto ad inseguire i leghisti nelle valli padane pur di ancorarsi a qualcuno che politica la fa per davvero.

Perché politica non è solo prendere voti (in questo Berlusconi è bravissimo): è fare qualcosa che li giustifichi agli occhi di chi te li ha dati.