Renzi e la rottamazione possono attendere.

Dopo l’entusiasmante cavalcata delle primarie, Renzi è sparito dalle cronache politiche nazionali per ben due mesi. A rimproverargli un certo disimpegno sono stati persino i suoi uomini, che in occasione delle Parlamentarie si sono sentiti spesso lasciati soli ad affrontare le ben organizzate strutture tradizionali di partito.

Ad inizio Gennaio, Renzi è riuscito ad ottenere da Bersani qualche nome nel listino del segretario, ed in cambio si è impegnato a partecipare alle ultime tre settimane di campagna elettorale. Per lui sono stati predisposti alcuni mini-tour nelle zone del paese più atavicamente ostili al PD nella sua versione bersaniana (leggasi post-comunista). Il nordest in particolare.

Un utilizzo attento, accurato, ma certamente parsimonioso di un arma le cui potenzialità sono abbastanza difficili da decifrare.

Se Renzi avesse vinto le primarie di fine novembre forse oggi il panorama politico nazionale sarebbe completamente diverso. Berlusconi sarebbe ridisceso in campo? E Monti? Il PD avrebbe mantenuto una sua unità?

Insomma, una vera e propria ipotesi di storia parallela, completamente diversa da quella che stiamo vivendo. La promessa di “ritorno al futuro” che Renzi lanciava allora alle folle, oggi sembra completamente annegata nell’ennesimo (e, per molti, sconfortante) ritorno al passato nel quale siamo tutti immersi fino al collo.

E sembra che il primo a non volerla far riemergere sia lo stesso rottamatore fiorentino Renzi.

Del tutto inappropriato al contesto nel quale tenta di muoversi in questi giorni, Renzi ha l’interesse strategico a non farvisi intrappolare. L’orizzonte entro cui il Sindaco si muove è un orizzonte più ampio, più lungo della durata della campagna elettorale. La misura esatta di tale orizzonte dipende da quale sarà l’esito di queste elezioni, perché esso avrà delle notevoli conseguenze, fra le altre cose, anche sul PD.

Come noto, nel prossimo autunno ci sarà il congresso nazionale del partito, ed è evidente che lo scenario entro cui si svolgerà sarà ben diverso a seconda di come saranno andate le elezioni. Vediamo gli scenari possibili, uno ad uno.

IN CASO DI VITTORIA DEL PD SIA ALLA CAMERA CHE AL SENATO

Bersani formerebbe un Governo in grado di durare per qualche anno. Si dimetterebbe da segretario del partito ma la sua corrente sarebbe assolutamente in grado di gestire il congresso autunnale facendo prevalere la continuità. Come promesso ci sarebbe la svolta generazionale ma all’interno del medesimo filone politico-culturale cui appartiene il segretario uscente.

Il candidato alla segreteria potrebbe essere uno dei capifila dei cosiddetti “giovani turchi“. Forse Andrea Orlando. Certamente si opporrebbe qualcuno, ma in un contesto di vittoria nazionale di Bersani e di correlativa distribuzione delle cariche governative ai vertici delle varie correnti ex Margherita (Bindi, Letta, Franceschini, Fioroni) l’oppositore non avrebbe alcuna speranza di successo. Chiunque esso sia. Anzi, riuscirebbe solo a bruciarsi per il futuro. Questo potrebbe essere il destino di Pippo Civati, candidato in pectore. In caso di vittoria di Bersani Renzi tornerebbe nell’ombra. Aspettando tempi migliori.

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IN CASO DI VITTORIA ALLA CAMERA E PAREGGIO AL SENATO

Lo scenario cambierebbe drasticamente. Peggio saranno andate, e maggiori saranno i margini politici che si aprirebbero per gli sfidanti alla linea di Bersani. Se le elezioni andassero male ma non malissimo (vittoria di Bersani alla Camera ma pareggio al Senato), e se Bersani riuscisse comunque a formare un suo Governo (o comunque a far partecipare il PD ad un Governo, anche se non ad un governo Bersani) bisognerà vedere quanto il nuovo esecutivo darà l’impressione di reggere.

La battaglia congressuale avrebbe un tasso di conflittualità proporzionale al grado di instabilità dell’esecutivo, perché, evidentemente, la porzione di sinistra del partito si opporrebbe all’accordo con i centristi, e quella centrista si opporrebbe all’accordo con Vendola. Difficile pensare, però, che possa essere Renzi a scendere in campo in un contesto del genere. Forse vincerebbe, ma per salvare se stesso e la sua linea dovrebbe smarcare il partito quanto più possibile da un governo inefficiente e litigioso.

Così rischierebbe di far cadere l’esecutivo, e quindi si condannerebbe a fare la fine di Veltroni nel 2008. Pagherebbe il conto salato di colpe politiche non sue. Ricordiamoci che Renzi ha davanti a sé altri anni come sindaco di Firenze. L’orizzonte temporale ampio darebbe a Renzi la possibilità di aspettare un momento più propizio per l’avventura nazionale.

In conclusione solo se le elezioni saranno andate malissimo, ma veramente malissimo, a Renzi converrà scendere in campo per la segreteria già alla fine di quest’anno. Parliamo di scenari come una vittoria di Berlusconi alla Camera, oppure una paralisi del Senato talmente seria da far precipitare il Paese verso un nuovo e rapido ritorno alle urne. Nel contesto di terribile depressione interna che tali scenari provocherebbero, Renzi avrebbe davvero una grande opportunità di prendersi il partito subito e a mani basse, e di cambiarne radicalmente la linea politica. Ma una cosa è certa: Renzi ora non ha fretta, e può permettersi di aspettare che sia il tempo a concedergli nuove opportunità. La rottamazione, improvvisamente, può attendere.