Renzi e la vocazione maggioritaria ‘nascosta’

Renzi e la vocazione maggioritaria 'nascosta'

Renzi e la vocazione maggioritaria ‘nascosta’.

Il voto delle primarie ha legato mani e piedi il destino del Partito Democratico a quello di Matteo Renzi. Un consenso che ha raccolto quanto seminato negli ultimi due anni: con la rottamazione ed il cambiamento della classe dirigente del PD che è rimasta in sella, praticamente, per 20 anni. Questo è bastato per una vittoria netta, rimasta in linea con i sondaggi pubblicati nelle settimane precedenti al voto (quando succede meglio sottolinearlo, soprattutto in un caso non semplice come un voto alle primarie) e che è arrivata contro un ex scudiero – Civati – ed una seconda linea mandata al macero dalla dirigenza al tramonto, Cuperlo.

Ora però arriva la seconda fase, quella del controllo del partito e della scalata elettorale. L’asticella, in questo caso, è rappresentata dal risultato ottenuto da Veltroni nel 2008. Un argomento mai apparso in queste primarie – probabilmente non a caso – è infatti quello delle alleanze. Un tema che probabilmente non appassiona il neosegretario Pd, vista la sua esperienza fiorentina. Difficile immaginarlo ad una trattativa pre-elettorale con altri partiti della sinistra; e non è un caso se le richieste di dialogo sono arrivate da SeL (in modo diretto da Vendola e Pisapia) verso i democratici e non viceversa. Una “vocazione maggioritaria” non esplicitata verbalmente ma insita nella comunicazione politica che contraddistingue Renzi: lui da solo al comando ed i fedelissimi un passo indietro, non c’è posto per altre persone che “levino le luci”.

Questo discorso, però, ritengo sia momentaneamente valido in fase pre-voto ed è condizionato fortemente dalla legge elettorale che avrà la luce nei prossimi mesi. Se rimane il “Porcellum depotenziato” – cioè un sistema elettorale proporzionale praticamente puro senza liste bloccate (auspicato da molti, ma personalmente aberrante vista la situazione) – allora assisteremo probabilmente ad una contrattazione sulla Presidenza del Consiglio post-elettorale, più o meno come avveniva nella Prima Repubblica, con un voto al partito senza la scelta diretta del premier. Se, invece, questo Parlamento avrà la forza di cercare vie maggioritarie alla legge elettorale – prospettiva sempre più improbabile, se non supportata da reminiscenze legislative che, in caso di abrogazione totale della legge vigente, consentano il ritorno alla legge precedente (creando, tra l’altro, un precedente gravissimo). Quanto detto sarebbe fattibile anche in caso di una scissione “di sinistra” all’interno del Pd, al momento improbabile, con il ritorno ad una sorta di Ds.

Il consenso del sindaco di Firenze, supportato mediaticamente da una stampa che più che da filtro critico ha fatto esclusivamente ed in modo passivo da megafono, è infatti stato troppo strabordante per pensare ad una nascita di un “qualcosa” di sinistra a livello nazionale.

Il test europeo è dietro l’angolo, anche se non è troppo attendibile, visto che si tratta di un voto ‘d’opinione’ per un ente percepito in modo astratto e distante. Ma la lunga (e doppia) campagna elettorale è difficile e piena di insidie per tutti.

 

Dario Cafiero