Referendum, acqua: cosa chiedono i quesiti

Pubblicato il 6 Giugno 2011 alle 09:29 Autore: Giuseppe Ceglia
acqua

Domenica 12 e lunedì 13 giugno si torna alle urne per esprimere un voto per quattro quesiti referendari. Termometro Politico dedicherà questa settimana all’approfondimento dei temi oggetto dei referendum.

Oltre al nucleare e al legittimo impedimento, si vota anche per due quesiti – cosiddetti “sull’acqua pubblica” – il primo dei quali punta all’abrogazione di alcune norme contenute nel decreto Ronchi del 2009.

Entrambi i quesiti in questione sono stati promossi dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, a differenza degli altri due promossi dall’Italia dei Valori e da alcune associazioni ambientaliste. La natura dell’ente promotore ha contribuito, direttamente e indirettamente, a creare confusione nella campagna di comunicazione dei quesiti sull’acqua. Per capire meglio questo punto è bene entrare subito nel merito.

Il primo quesito (scheda colore rosso), denominato Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, si propone di abrogare l’art. 23-bis della Legge n. 133/2008 e successive modifiche, relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica.

In pratica si vuole cancellare la norma che affida, previa gara d’appalto ad evidenza pubblica, la gestione dei servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, trasporti) a società pubbliche, private o  miste. Per le società miste dove i privati (scelti anch’essi tramite gara pubblica) detengano almeno il 40% del capitale non è necessaria la gara. Le società miste quotate in Borsa, inoltre, per non perdere il diritto alla gestione della risorsa pubblica, devono portare la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013, e al 30% entro dicembre 2015.

 

Il secondo quesito (scheda colore giallo), denominato Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito, si propone di abrogare l’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell’«adeguatezza della remunerazione del capitale investito».

In parole semplici, l’abrogazione eviterebbe che i gestori di servizio idrico ricevano il 7% del capitale investito come remunerazione adeguata allo sforzo economico fatto.

Alla luce dei due quesiti risulta evidente che l’ormai famoso slogan “sì all’acqua pubblica” sia fuorviante, sia per quanto riguarda la parola “acqua” sia per quanto concerne il termine “pubblica”. Questo perché non tutti e due i quesiti si riferiscono esclusivamente all’acqua: il primo, infatti, coinvolge tutti i servizi pubblici locali. Un’eventuale abrogazione riguarderebbe non solo il servizio idrico, ma anche lo smaltimento dei rifiuti e i trasporti pubblici. La natura dell’ente promotore, il Forum sull’acqua, ha sicuramente influito perché nella campagna referendaria si ponesse l’attenzione soprattutto sul servizio idrico, tralasciando gli altri servizi pubblici.

L’aggettivo “pubblica”, inoltre, farebbe pensare che qualcuno l’abbia aggiunto per indurre i cittadini a credere che il decreto Ronchi voglia privatizzare l’acqua. Ciò, evidentemente, non è vero: la proprietà dell’acqua è e resta pubblica (come esplicitato nel comma 5 dell’art. 23-bis L. n. 133/2008). L’obiettivo del decreto Ronchi non è privatizzare l’acqua ma favorire una maggiore presenza dei privati nella gestione della stessa.

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