Siae: lo Stato sono io!

Pubblicato il 7 Giugno 2015 alle 15:05 Autore: Guido Scorza

La storia è, probabilmente, una delle tante che si consumano quotidianamente nel nostro Paese all’ombra dei riflettori dei media: una gallerista torinese, organizza una mostra di sessanta opere di Picasso di sua proprietà – o a lei affidate in conto vendita – e per promuoverla stampa un catalogo, da distribuire gratuitamente, del quale pubblica, poi, online anche una versione digitale.

A qualche settimana dalla mostra e quando il catalogo è già stato stampato, la Siae – dando prova di invidiabile ed apprezzabile efficienza – scrive alla gallerista, informandola di aver appreso “da notizie di stampa” dell’imminente mostra dedicata a Picasso e ricordandole che la riproduzione di qualsiasi opera su cataloghi o manifesti promozionali è soggetta a licenza dei relativi diritti d’autore amministrati dalla stessa Siae ed invitandola, pertanto, a prendere contatti con gli uffici competenti “al fine di istruire la pratica relativa al rilascio preventivo delle autorizzazioni necessarie”.

Alla stessa comunicazione, quindi, la Siae unisce “ad ogni buon fine” – si scrive nella lettera – “il mod 342/Af che si prega di restituire debitamente compilato e sottoscritto per ciascun supporto che verrà realizzato”.

Ligia alla richiesta della Società italiana autori ed editori la gallerista compila il modulo, vi allega una copia del catalogo che ha frattanto stampato e trasmette tutto alla Siae sebbene non senza qualche dubbio legato al fatto che sul modulo non sono, in alcun modo, indicate le tariffe relative al compenso che dovrà pagare e che tali tariffe non sono neppure pubblicate sul sito della Siae dove, al loro posto – seguendo i relativi link – campeggia, invece, la seguente indicazione: “Il compendio delle norme e dei compensi non è al momento disponibile. Inoltrare eventuali richieste di informazioni a: artivisive.olaf@siae.it”.

Certo la gallerista avrebbe potuto scrivere a Siae e chiedere quanto le sarebbe costato diffondere il catalogo appena stampato ma le serenità di interloquire con un soggetto pubblico, tutore di diritti e cultura, ha, evidentemente, avuto la meglio sulla preoccupazione per il proprio portafogli.

Passano una manciata di giorni e la Siae si rifà viva nella mailboxdella gallerista con una lettera nella quale, facendo riferimento alla corrispondenza intercorsa, la “prega di voler provvedere al pagamento dei diritti d’autore pari a Euro 3.741, 11…che dovranno essere corrisposti entro trenta giorni dalla data” di ricevimento della stessa lettera a pena, in caso di ritardato pagamento, di una penale pari al 10% dei diritti oltre agli interessi dovuti per legge.

Quasi quattromila euro per riprodurre su un catalogo, stampato in 2500 copie e pubblicato sul proprio sito internet, sessanta immagini di altrettante opere proprie o, comunque, esposte per conto terzi in una propria piccola galleria, suonano un po’ come certe stangate che bar e ristoranti poco onesti, di tanto in tanto, riservano a malcapitati turisti che arrivano nel nostro Paese da lontano.

Ma il punto non è questo giacché, in fondo, stiamo parlando di immagini di opere d’arte di Pablo Picasso.

Il punto è un altro.

Il punto è innanzitutto che, si debba scoprire di esser debitori – o presunti tali – di cifre a tre zeri solo dopo aver concluso un contratto di licenza perché, evidentemente – a differenza di quanto accade in tutto il resto del mondo – la Siae non ritiene di dover pubblicare le proprie tariffe sul proprio sito internet, né di doverle comunicare ad un utilizzatore al quale pure, solerte, chiede di regolarizzare l’utilizzo di taluni diritti d’autore.

Ed il punto è, soprattutto che Siae finga di dimenticare o di non sapere che una cosa sono le sue condizioni generali di contratto e le sue assai poco trasparenti tariffe ed una cosa ben diversa sono le leggi dello Stato.

Il 50% dei quasi quattromila euro richiesti alla gallerista in questione trovano, infatti, giustificazione – a scorrere la lettera trasmessa dalla Siae alla gallerista – nella circostanza che avendo omesso di richiedere l’autorizzazione prima di procedere alla pubblicazione del catalogo, l’utilizzatore – secondo quanto previsto in una delle clausole riportate a tergo del modulo che la Siae ha chiesto alla malcapitata gallerista di firmare – sarebbe tenuto a versare una somma che potrebbe addirittura arrivare al 200% di quella normalmente dovuta.

Secondo Siae, dunque, la gallerista dovrebbe addirittura considerarsi fortunata se per la stampa su un catalogo di sessanta immagini di proprie opere le sono stati richiesti solo 4000 euro e non 6000.

Ma la questione non sono neppure i numeri, le cifre, le tariffe e lepenali benché salate ed assai poco trasparenti.

La questione è più grave.

Il problema vero è che, nel nostro Ordinamento – come in quello di ogni altro Paese civile – nessuno può, per contratto, imporre a chicchessia una penale punitiva e sanzionatoria tale che il prezzo di un diritto da duemila euro possa lievitare fino a seimila non già a seguito di un ritardo nel pagamento di qualche anno ma, più semplicemente, di un ritardo, di una manciata di giorni, nella richiesta di una licenza.

E, soprattutto, naturalmente, le nostre leggi non tollerano che si possa, per contratto, pretendere da qualcuno il pagamento di una “penale” del 200% per l’ipotesi in cui si verifichi una condizione che al momento della firma del contratto si è, in realtà, già verificata.

Qui riavvolgere il nastro di questa storia è utile: la gallerista, infatti, nel firmare il contratto con la Siae – o, meglio, la richiesta di autorizzazione – ha trasmesso alla Siae il catalogo che, in realtà, non avrebbe potuto stampare senza aver prima ottenuto la licenza in questione.

Quando il contratto è stato firmato, dunque, quello che oggi Siae vorrebbe considerare – con un’astuzia da venditore porta a porta di carabattole – un inadempimento contrattuale tale da costare alla gallerista il doppio del prezzo della licenza, si era, in realtà, già consumato.

Guai a contestare che lo Stato possa sanzionare ogni abuso dei diritti d’autore – piccolo o grande che sia – con pene pecuniarie, auspicabilmente proporzionate, allo scopo di disincentivare le violazioni delle leggi ma, questo compito, non spetta alla Siae e, soprattutto, non può essere esercitato per contratto.

Qualche mese fa, dopo aver denunciato, su queste stesse colonne, analoghi episodi nell’ambito dei quali la Siae pretendeva il pagamento di penali fino al 30%, sempre “per contratto”, il Direttore Generale della Società rispose piccato, mettendo nero su bianco che la percentuale del 30% era una misura massima per l’ipotesi dei ritardi più gravi nel pagamento dei compensi.

Sarebbe interessante leggere, ora, la risposta del Direttore generale della Siae, davanti ad una lettera – guarda caso proprio su carta intestata della sua direzione generale – con la quale si chiede ad un utilizzatore di pagare una penale pari al 100% del prezzo della licenza per aver richiesto – in modo trasparente ed in risposta ad una sollecitazione degli uffici Siae – una licenza con una manciata di giorni di ritardo rispetto alla data di stampa di un catalogo raffigurante sessanta proprie opere.

La domanda è semplice: secondo Siae e, soprattutto, secondo il Ministero dei beni e delle attività culturali che sulla Siae ha, per legge, vigilanza è tutto regolare? E’ normale chiedere ad un “cliente”, per contratto, di pagare il doppio – o addirittura il triplo – se si dimentica di richiedere un permesso prima di usare un’opera?

Sembra davvero urgente mettere mano ad una riforma del sistema dell’intermediazione dei diritti e tirare una linea di demarcazione netta ed invalicabile tra chi – esercitando funzioni di carattere pubblicistico – è chiamato a vigilare sul rispetto delle regole ed a sanzionare gli abusi e chi, invece – da privato e nell’interesse di privati – deve preoccuparsi di far fruttare gli altrui diritti d’autore.

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Riceviamo e pubblichiamo la seguente nota Siae

Rispondiamo volentieri all’articolo “Siae, lo Stato sono io!“ pubblicato sul blog “Il Fatto Quotidiano” a firma di Guido Scorza.

E’ opportuno chiarire subito che la gallerista torinese, di cui Scorza si erge a difensore, non è persona sprovveduta o alle prime armi ma titolare di una galleria che opera nella città di Torino da quasi 70 anni e da più generazioni.

Scopriamo solo ora con rammarico (è stato sufficiente visitare il loro sito) che si tratta di professionisti dell’utilizzazione abusiva delle opere altrui, a meno che non abbiano ottenuto autorizzazione direttamente dagli aventi diritto, non avendo mai negli ultimi anni a quanto ci risulta, richiesto alla SIAE la prevista preventiva autorizzazione per la pubblicazione di cataloghi (l’ultima autorizzazione è stata richiesta nel 1999 con diversa ragione sociale).

Peraltro tra i cataloghi attualmente pubblicati sul loro sito ve ne è uno del Maestro De Chirico. Abbiamo quindi contattato la Fondazione che testualmente ci ha risposto “Di fatto non hanno chiesto alcuna autorizzazione, confidando che la pubblicazione del catalogo sarebbe passata inosservata alla Fondazione (come è effettivamente accaduto), nonché alla SIAE”.

Ciò premesso, i professionisti del settore sanno infatti molto bene quali siano le tariffe applicate e sanno anche che è sufficiente chiedere di poter accedere alla procedura informatica per il rilascio online delle licenze con il relativo calcolo preventivo delle tariffe (https://online.siae.it/).

Chiarito quindi che stiamo parlando di un utilizzatore abusivo, per semplificare veniamo a quello che nell’articolo viene sottolineato.

Infatti non è, né può essere considerata una dimenticanza.

Nel caso di specie, così come avviene in tutte le Società di gestione collettiva per le arti figurative, per questo tipo di utilizzazioni monografiche le tariffe ordinarie devono comunque essere confermate dagli aventi diritto (che hanno facoltà di chiedere una tariffa superiore ovvero inferiore) e gli stessi aventi diritto devono dare uno specifico assenso anche rispetto alla penale da applicare, penale che, come noto a chi sa di diritto d’autore, non va alla società di gestione collettiva, ma va a ristorare l’avente diritto per l’utilizzazione abusiva. SIAE ha quindi inoltrato al titolare dei diritti, presso la sua sede di Parigi, la richiesta di autorizzazione ed è stata autorizzata la tariffa nonché la penale da applicare. Lo stesso titolare ha inoltre rilevato che, se l’autorizzazione fosse stata richiesta preventivamente, avrebbe chiesto la rettifica dell’immagine per almeno due opere (diritto morale dell’autore). E’ opportuno altresì chiarire che le tariffe per la riproduzione delle opere delle arti visive sono particolarmente articolate, in Italia come negli altri Paesi (cfr. ad esempio le tariffe della spagnola VEGAP o quelle delle francese ADAGP o della tedesca BILD KUNST) esposte in compendi di circa 60 pagine per adattarle ad un grande numero di casi particolari. Peraltro la spagnola VEGAP prevede una penale massima del 200% e la francese ADAGP una penale minima del 100% senza fissare quella massima.

Essendo state soggette a procedure di adeguamento dopo l’approvazione da parte degli Organi Sociali, nei quali sono peraltro rappresentati gli aventi diritto, le tariffe SIAE sulle arti figurative sono in corso di pubblicazione.

Ci permettiamo infine di segnalare all’avv. Scorza che in questo articolo ha “dimenticato” la usuale nota di trasparenza nella quale dichiara di essere fiero avversario della SIAE.

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Risposta di Guido Scorza

La Siae ha risposto al post attraverso il quale, ieri, da queste stesse pagine, segnalavo una delle tante storie di mala-gestione dei diritti d’autore, rimbalzata da Torino dove una gallerista si è vista dapprima invitare a firmare un contratto di licenza senza che nessuno si fosse preoccupato di informarla sulle tariffe né l’avesse posta in condizione di accedervi e, quindi, richiedere il pagamento del doppio del prezzo per non aver richiesto la licenza prima di procedere alla stampa di un catalogo contenente la riproduzione di sessanta opere da distribuire gratuitamente in vista dell’organizzazione di una mostra di proprie opere di Picasso.

Nel post si contestavano a Siae, solo due cose, semplici e, apparentemente ragionevoli:
(a) le tariffe per l’utilizzazione di qualsiasi diritto d’autoredovrebbero essere trasparenti e note agli utilizzatori mentre, quelle in questione, non sono né pubblicate sul sito internet della società autori ed editori, né rese note agli utilizzatori nel momento in cui si chiede loro di sottoscrivere un contratto di licenza. E’ lecito – o, comunque, commercialmente coretto – che chi si impegna a pagare non sappia, prima di impegnarsi, quanto dovrà pagare?
(b) nelle condizioni generali dei suoi contratti di licenza Siae prevede che, qualora l’utilizzatore violi i termini della licenza, potrà essergli richiesto di pagare una penale fino a due volte il prezzo della licenza. Si tratta di una penale palesemente eccessiva e, come tale, semplicemente fuori legge. Ma, a prescindere da questo, ciò che si segnalava e che violare la legge sul diritto d’autore può, naturalmente, dar luogo a delle sanzioni ma che tali sanzioni devono essere irrogate da un giudice, all’esito di un giusto processo e non dalla Siae, per contratto.

La replica della Siae, tuttavia, non contiene alcuna risposta puntuale al riguardo.

Alla prima questione, sostanzialmente, si risponde che le tariffe – che tutte le altre società autori ed editori in giro per l’Europa pubblicano sul loro sito – sono complicate e che, comunque, le proprie sono in corso di pubblicazione .

Alla seconda questione, invece, la risposta della Società italiana autori ed editori, lascia di stucco: secondo Siae, l’applicazione, per contratto di una sanzione, per contratto, del 100% dovrebbe considerarsi lecita sia perché penali altrettanto salate sarebbero applicate da altre società europee, sia perché la misura della penale in questione sarebbe determinata direttamente dal titolare dei diritti.

Risposte che farebbero sorridere anche un ragazzo al primo anno della facoltà di giurisprudenza ma che soprattutto raccontano di come la nostra società italiana autori ed editori mentre ignora l’esempio virtuoso delle sue consorelle europee in fatto ditrasparenza delle tariffe, utilizza quello negativo in fatto di sanzioni contrattuali sproporzionate ed eccessive. Ogni parola di più sarebbe davvero di troppo.

Merita, però, una replica la chiosa della Siae circa la circostanza che avrei “dimenticato la usuale nota di trasparenza nella quale dichiara di essere fiero avversario della Siae”. Non l’ho dimenticata, l’ho omessa volutamente perché mentre trovo doveroso segnalare al lettore quando ho un interesse personale in ciò che scrivo, non lo trovo né necessario, né utile quando mi limito a raccontare ciò che leggo e ciò che penso.

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