Riforma costituzionale, l’inutile opposizione e le correzioni possibili alla (buona) riforma

Pubblicato il 21 Gennaio 2016 alle 15:36 Autore: Andrea Enrici
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Col voto del Senato, la riforma costituzionale sta per terminare il suo iter: è scontata l’approvazione della Camera in primavera ed è verosimile la conferma dei cittadini al referendum d’autunno nonostante una variegata galassia di oppositori si stia attivando per promuoverne la bocciatura.

Accanto a Grillo, Salvini e ai reduci del berlusconismo, infatti, ci saranno anche i partiti di sinistra, molti intellettuali e alcuni dei più importanti costituzionalisti. Pur non condividendo diversi punti della riforma, è difficile capire perché la crème dell’intelligentsia progressista sia pronta a mescolarsi col peggio della destra populista per condurre una campagna politica contro la maggioranza.

Lo scontro frontale, però, segnerà un’altra botta d’arresto per chi ha tentato ripetutamente di porsi come alternativa di sinistra al PD. Opponendosi al superamento del bicameralismo perfetto e all’elezione indiretta del Senato, si trascura che la riforma avvicina l’Italia alle realtà istituzionali dei maggiori Paesi europei.

Zagrebelsky e Rodotà, al contrario, avrebbero dovuto sollecitare il Parlamento a completare ed integrare la riforma, colmando le lacune che riducono l’impatto di questo percorso riformatore.

riforma costituzionale

Riforma costituzionale, le possibili correzioni

Riduzione del numero dei Deputati. L’Italia, con 60 milioni di abitanti, ha gli stessi deputati (630) del Bundestag che rappresenta oltre 80 milioni di tedeschi e supera i 577 députés dell’Assemblée Nationale eletti da quasi 70 milioni di francesi. L’eliminazione dei 315 senatori, quindi, non avrebbe dovuto escludere la contestuale riduzione del numero dei deputati: 500 potrebbero essere più che sufficienti.

Fusioni delle Regioni. Il “ddl-Boschi” ha modificato la distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni disciplinata dal Titolo V senza però ridurne il numero. Venti Regioni sono troppe: se anche Hollande è riuscito a far approvare una riforma che ha praticamente dimezzato le Régions francesi (ne restano tredici su ventidue), pure Renzi avrebbe dovuto provarci.

Enti locali. Nella Costituzione non si parlerà più di province benché continueranno ad esistere come Enti territoriali di area vasta secondo la “Legge Delrio”. È necessario, però, approvarne la definitiva soppressione, trasferendo in via transitoria tutte le competenze delle province alle Regioni, che poi decideranno come ridistribuirle.

Anche le città metropolitane non sono state ancora concretamente definite: essa avranno senso solo se assumeranno la forma di enti consolidati in cui si fondono i comuni costituenti, con un unico sindaco e un unico consiglio.

La riforma degli enti locali, comunque, non sarà mai veramente completata se non si imporranno le fusioni tra i piccoli comuni.

Sistemi elettorali regionali e comunali. Un discorso a parte va fatto sulle leggi che disciplinano le elezioni comunali e regionali, da rimodellare su una formula simile all’Italicum, eliminando ogni residua possibilità di costituire coalizioni pre-elettorali che -lo dimostrano le più bizzarre liste presentate di volta in volta- continuano a favorire il trasformismo di notabili in eterno transito da uno schieramento all’altro.

Varrebbe la pensa confrontarsi su queste e analoghe modifiche, anziché sostenere a capofitto una bocciatura che non arriverà, perché, in fin dei conti, questa riforma, perfettibile, non è poi così male.

Andrea Enrici

 

L'autore: Andrea Enrici

Classe 1987, lombardo di nascita e milanese per scelta, ha una maturità classica e una laurea a pieni voti in giurisprudenza, presa tra Pavia, Glasgow e San Francisco. È stato consulente legale per l'ONU, ora è impiegato nella Pubblica Amministrazione. Ha iniziato a interessarsi di politica, per gioco, nei primi Anni Novanta, con le vignette di Forattini: presto ha smesso di seguire Forattini ma con la politica non ce l'ha fatta. Viaggia, legge, va a teatro e tifa Inter
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