Gaza: le difficili strade per il cessate il fuoco

Pubblicato il 14 Luglio 2014 alle 11:54 Autore: Antonio Scafati

Una settimana di bombardamenti. Una settimana di lanci di razzi. Sono oltre 170 le vittime tra la popolazione palestinese nella Striscia di Gaza, ma i numeri vengono aggiornati di ora in ora. Oltre 17mila civili hanno abbandonato le loro case. Lo spettro di un’invasione di terra rende le prospettive ancora più cupe.

Ieri negli Stati Uniti il senatore repubblicano John McCain ha definito la situazione attuale come “potenzialmente la più pericolosa che il Medio Oriente abbia mai vissuto”. Le vie d’uscita sono strette e probabilmente impraticabili senza l’intervento di cancellerie autorevoli e storicamente vicine alle questioni di quell’area.

Per Michael B. Oren, ex ambasciatore di Israele a Washington, una possibile soluzione passa per un intervento diretto degli Stati Uniti: occorre un cessate il fuoco nel quale gli Usa giochino un ruolo decisivo, ha scritto Oren in un intervento pubblicato dalla Cnn. Senza il coinvolgimento della Casa Bianca, una interruzione anche momentanea delle ostilità non farebbe altro che consentire ad Hamas di riarmarsi e riorganizzarsi: e in pratica si ricomincerebbe da capo.

Serve invece una strategia mirata e di ampio respiro che coinvolga anche l’Egitto, restio a intervenire direttamente. Un cessate il fuoco sponsorizzato da questi attori potrebbe aprire una fase due che partirebbe dagli aiuti internazionali alla popolazione di Gaza e arriverebbe alla sospensione del blocco navale imposto da Israele. In mezzo, gli ispettori internazionali dovrebbero poter entrare a Gaza per portare fuori le scorte di razzi messe insieme da Hamas.

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Ne uscirebbero vincitori gli Usa, che potrebbero prendersi il merito. Ne uscirebbe vincitore l’Egitto (storico mediatore tra Hamas e Tel Aviv) che tornerebbe a giocare da protagonista nell’area. Ne uscirebbe vincitore l’Autorità Nazionale Palestinese, che sostituirebbe Hamas nel controllo della Striscia di Gaza. E ne uscirebbe vincitore anche Israele. Ma è una strada percorribile? Forse no. Almeno non ora.

La scorsa settimana l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Ron Dermer, ha dichiarato che “Israele ha un forte supporto diplomatico”. Fonti anonime all’interno dell’amministrazione Usa hanno detto all’Associated Press che la Casa Bianca vuole un cessate il fuoco ma allo stesso tempo non vuole che Hamas ne esca rinforzato e Israele indebolito. Ma se il conflitto dovesse andare avanti a lungo, a trarne i maggiori vantaggi potrebbe essere proprio Hamas, ha sottolineato Azzam Tamimi, commentatore del Guardian.

Jeremy Bowen, della BBC, ha scritto che le violenze a Gaza termineranno con un cessate il fuoco, ma i tempi dell’accordo saranno dettati da fattori come il numero di vittime e le pressioni internazionali: “Sembra che questo punto non sia stato ancora raggiunto. Nessuna delle due parti è ancora pronta per questo. Entrambe le parti rivendicano il diritto all’auto-difesa”. L’assenza di mediatori disposti ad intervenire con determinazione complica il quadro.

Gli Stati Uniti hanno perso parte della loro influenza nelle cose mediorientali anche in seguito alle decisioni di tenersi fuori dai conflitti in Siria e in Iraq, ha scritto Oren. Ma senza un intervento di Washington, la situazione nella Striscia di Gaza rischia di peggiorare. “Con l’intera popolazione israeliana sotto il lancio di razzi, Tel Aviv non avrà altra scelta che invadere” ha aggiunto l’ex ambasciatore.

L'autore: Antonio Scafati

Antonio Scafati è nato a Roma nel 1984. Dopo la gavetta presso alcune testate locali è approdato alla redazione Tg di RomaUno tv, la più importante emittente televisiva privata del Lazio, dove è rimasto per due anni e mezzo. Si è occupato per anni di paesi scandinavi: ha firmato articoli su diverse testate tra cui Area, L’Occidentale, Lettera43. È autore di “Rugby per non frequentanti”, guida multimediale edita da Il Menocchio. Ha coordinato la redazione Esteri di TermometroPolitico fino al dicembre 2014. Follow @antonio_scafati
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