Gaza: Israele e il rischio Intifada

Pubblicato il 25 Luglio 2014 alle 10:58 Autore: Antonio Scafati

Diciottesimo giorni di guerra a Gaza. Il bilancio delle vittime ha superato quota 800 tra la popolazione palestinese. Israele ha perso 32 soldati. Il cessate il fuoco resta un’opzione su cui la diplomazia internazionale sta lavorando, ma accanto c’è anche un altro rischio: quello di un’esplosione di rabbia che potrebbe innescare una nuova Intifada. È quello che Yuval Diskin ha detto nel corso di un’intervista con la rivista tedesco Der Spiegel.

Yuval Diskin è stato a capo dello Shin bet (i servizi segreti interni israeliani) dal 2005 al 2011. Negli ultimi anni è stato spesso critico nei confronti della politica condotta dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Per Diskin il conflitto a Gaza potrebbe scatenare una nuova Intifada, termine arabo che significa ‘rivolta’: “Nessuno può prevedere una Intifada perché è qualcosa di non prevedibile. Ma i palestinesi non potranno accettare un’occupazione israeliana. Quando la gente perde la speranza di poter migliorare la propria condizione tende a radicalizzarsi. È la natura degli esseri umani. La Striscia di Gaza è uno dei migliori esempi. Ci sono tutte le condizioni perché la situazione esploda”.

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Photo by Israel Defense ForcesCC BY 2.0

Secondo l’ex capo dello Shin bet, i vertici del governo, Netanyahu in testa, non hanno intenzione di rioccupare militarmente Gaza: “Nessuno di loro era davvero desideroso di procedere con un’operazione di terra. Nessuno di loro è entusiasta all’idea di rioccupare Gaza”.  Ma considerata la situazione dopo giorni di bombardamenti, l’invasione era diventata inevitabile. Da un lato c’era la determinazione a distruggere i tunnel utilizzati da Hamas, dall’altro le pressioni di un’opinione pubblica che chiedeva di agire con veemenza. Per Diskin, in un certo senso Israele è scivolata in questo conflitto.

Hamas ha perfezionato le proprie tattiche militari ed è diventata più forte negli ultimi anni. La rete dei tunnel sotterranei a Gaza è vasta e ramificata, le postazioni di lancio dei razzi sono nascoste con cura, i miliziani ben addestrati. Per Israele potrebbe essere impossibile raggiungere gli obiettivi prefissati, ha sottolineato Diskin: “Ci vorrebbero uno o due anni per sbarazzarsi dei tunnel e dei depositi di munizioni. Ci vorrebbe tempo, e dal punto di vista militare sarebbe anche possibile. Ma Israele avrebbe da gestire circa due milioni di persone, per lo più rifugiati, e si esporrebbe alle critiche della comunità internazionale”.

L’unica strada che potrebbe portare a una pace duratura passa attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori che operano nella regione: Israele, palestinesi, la Giordania e l’Egitto. E servirebbe anche il supporto della Turchia, dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi. Diskin non nasconde che si tratta di una strada lunga, che richiederebbe almeno cinque anni. Ma potrebbe essere l’unica.

Immagine in evidenza: photo by Israel Defense ForcesCC BY 2.0

L'autore: Antonio Scafati

Antonio Scafati è nato a Roma nel 1984. Dopo la gavetta presso alcune testate locali è approdato alla redazione Tg di RomaUno tv, la più importante emittente televisiva privata del Lazio, dove è rimasto per due anni e mezzo. Si è occupato per anni di paesi scandinavi: ha firmato articoli su diverse testate tra cui Area, L’Occidentale, Lettera43. È autore di “Rugby per non frequentanti”, guida multimediale edita da Il Menocchio. Ha coordinato la redazione Esteri di TermometroPolitico fino al dicembre 2014. Follow @antonio_scafati
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