25 aprile: il Pdl e l’antifascismo

Pubblicato il 25 Aprile 2011 alle 09:57 Autore: Matteo Patané
25 aprile

Dopo Piazza Fontana De Eccher venne sospettato di coinvolgimento in altri attentati riconducibili al terrorismo nero nel 1971 e 1972, fino poi ad essere arrestato nel 1973, per un ennesimo tentato attentato, e ancora nel 1975 come organizzatore di attività eversive in seno ad Avanguardia Nazionale. Nel 1992, dinanzi al giudice Salvini, dirà: “Sono già condannato per oltraggio a pubblico ufficiale e a due anni di reclusione per ricostituzione del disciolto partito fascista”.

 

Ed ecco come l’Atto 2651 improvvisamente può essere visto come il coronamento delle cupe ambizioni di un uomo, o per meglio dire di un gruppo di uomini, di ottenere per vie legali ciò che non riuscirono ad avere con le bombe ed il sangue.

 

In seconda analisi, naturalmente, si può provare a capire se e quanto l’interpretazione della Costituzione offerta dai promotori della proposta in analisi sia plausibile e corretta.

Il primo ragionamento esposto da De Eccher e dagli altri firmatari non è di fatto consistente: essi pongono l’accento sul termine “transitoria” del capo di cui fa parte l’articolo, ma l’insieme delle disposizioni è definito nella Carta come “transitorie e finali”. I padri costituenti erano quindi ben decisi a inserire a margine della Costituzione degli articoli senza particolari scadenze temporali accanto a quelli con valenza solo temporanea. In particolare, sono stati i padri costituenti stessi a specificare quali disposizioni fossero transitorie e quali fossero finali esplicitando all’interno di ciascun articolo la sua eventuale durata temporale. Il fatto che tale accorgimento non sia stato usato per la XII disposizione la rende automaticamente appartenente all’insieme delle finali, e non a quello delle transitorie. Lamentare la sua permanenza del tempo adducendo a motivazione il termine “transitorio” è dunque semplicemente non corretto.

25 aprile

I promotori dell’Atto 2651 sostengono poi che il divieto di ricostituzione fosse circostanziato al PNF mussoliniano. In realtà l’intera nostra Costituzione è permeata dei valori dell’antifascismo, ed è pertanto naturale far discendere da questo – come ha recepito la Legge Scelba – che siano i valori del fascismo quelli da vietare e combattere, e non la costruzione di un’entità politica ben limitata storicamente. Questa lettura permette anche di capire il perché questo articolo sia stato inserito tra le disposizioni e non all’interno della Carta vera e propria: di fatto costituisce un’eccezione ai principi descritti nella Costituzione, un’eccezione motivata dalla necessità di escludere tutte le forze estranee ed avversarie ai valori contenuti nella Carta stessa. La Costituzione è scontrata quindi con la necessità logica di violare le regole che rappresenta per impedire rappresentanza politica a chi osteggia e combatte quei medesimi valori, e ha risolto l’impasse in maniera sufficientemente elegante posizionando tale articolo non all’interno della Carta stessa, ma in una sua appendice, ovvero un elemento esterno dotato però del medesimo valore legale.

 

Una simile lettura, valoriale anziché letterale, appare quindi – oltre che più elegante dal punto di vista formale – sia maggiormente vicina al senso comune, sia avallata dal contenuto della Legge Scelba, legge non per nulla osteggiata dai promotori dell’Atto 2651.

 

La necessità di proteggere la struttura democratica della legge italiana da violazioni di stampo dittatoriale e autoritario è la base dell’obiezione che si può muovere ad un terzo tipo di critica, ovvero che la XII disposizione costituisca una violazione della libertà di pensiero e di espressione e come tale sia un grave errore compiuto dai costituenti.

Senza alcun dubbio il fascismo fu un movimento popolare con un vasto seguito, rappresentativo di un’idea politica e sociale e di un certo modello di società. Tuttavia tale modello risulta incompatibile con la sopravvivenza delle istituzioni di tipo democratico. Il rifiuto di ammettere il fascismo – inteso in senso lato, come persecuzione delle opposizioni, come autoritarismo, come accentramento dei poteri in pochissime mani, se non una soltanto – nella vita politica del Paese deve quindi essere visto come il rifiuto di ammettere ideologie distruttive per la convivenza civile e democratica del Paese; non quindi privazione della libertà di espressione, ma anticorpo indispensabile per la sopravvivenza dello Stato democratico quale noi lo conosciamo.

Quest’anno, il 25 aprile ha veramente un motivo in più di essere festeggiato.

 

 

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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